Pubblichiamo la testimonianza di Anna, vittima del marito violento e della burocrazia. Continua il nostro viaggio verso l'8 marzo
Anna – il nome ovviamente è di fantasia – è una donna che non riesce ad uscire da una storia di molestie e persecuzioni, e di cui in passato ci eravamo già occupati. Anni dopo, ascoltando le sue parole, mi rendo conto che pochi passi avanti sono stati fatti nonostante una legge dedicata ed una sensibilizzazione estrema, o almeno così dovrebbe essere, per reati di questo tipo.
«Con il padre di mia figlia la relazione inizialmente sembrava felice, lui era interessante, brillante, si mostrava orgoglioso anche del mio lavoro che andava bene ma un giorno, per una banalissima assenza di poche ore, è esploso e mi ha dato il primo ceffone. Ho interrotto la relazione, l’ho allontanato e lui è scomparso. Sono passati mesi e poi un incontro, forse casuale forse no, e dopo le sue lacrime di pentimento e vergogna ho deciso di riprendere a vederlo. In realtà la sua famiglia conosceva già questo suo lato violento, ma quando ne ho accennato si sono ben guardati dal dirmelo, tutto si doveva e tuttora si deve nascondere. Ad un certo punto, lo so che sembra incredibile, mi sono resa conto che avevo iniziato ad avere paura di lui, delle sue esplosioni d’ira, dei suoi scatti di collera, della terra bruciata che mi aveva fatto intorno, allontanandomi dagli amici, dalla famiglia, anche dallo sport che adoravo. Allontanata ed isolata, ogni pretesto era buono per punirmi con calci e schiaffi: un barattolo fuori posto in frigo, un po’ di polvere sul mobile, persino la lampada accesa per leggere se lui voleva dormire».
«Quando ho scoperto di aspettare un bambino – continua a raccontare – sono stata felice, ed ho sperato che questo lo cambiasse, ma ha continuato con le violenze esattamente come prima, solo che adesso c’era anche l’obiettivo di allontanarmi da mia figlia»
Questo ha fatto scattare qualcosa in Anna , che ha preso forza per raccontare ai proprio genitori quello che stava succedendo ma anche loro hanno dovuto fare i conti con la violenza fisica dell’uomo: «In seguito a queste lesioni gravissime ho ottenuto un primo provvedimento restrittivo per allontanarlo da casa».
«Nel frattempo gli anni passavano, la bambina cresceva ed il mio desiderio di darle una vita serena senza rovesciarle addosso le patologie paterne è definitivamente crollato dopo parecchi anni di relativa tranquillità, in cui mia figlia vedeva il padre alla presenza di un educatore, la psicologa seguiva questo percorso ed entrambi una volta al mese tentavamo la mediazione familiare. Infatti, appena ha avuto nuovamente la possibilità di vederla da solo, ha iniziato a parlarle male di me, la madre sbagliata che cerca di rovinare la vita a tutti perché incapace di farsene una, a costringerla a stili di vita che a lei non piacciono e a rinfacciarle presunte inadeguatezze fisiche per poi ricominciare (lo aveva già fatto quando era molto piccola) con gli schiaffi e le violenze, fino a portarla a fuggire da lui chiedendo aiuto».
Oggi? «Adesso siamo in attesa nuovamente di una sentenza, per fortuna crescendo i ragazzi possono scegliere di non vedere una persona che li terrorizza ma il mio pensiero è sempre lo stesso: perché si è permesso che si arrivasse a questo, perché si è prodotto un danno che poteva essere evitato»
Lo sfogo di Anna, arriva anche a toccare il sistema istituzionale che dovrebbe aiutare le donne nella sua situazione: «I servizi sociali, il Tribunale, gli educatori hanno talvolta (in certi casi colpevolmente) trascurato l’evidenza dei fatti per rifugiarsi negli stereotipi, nelle dichiarazioni di facciata e hanno fatto pressione sulla parte debole, cioè noi, invitati a più riprese ad “accettare” il padre con i suoi difetti e le sue mancanze e, aggiungo io, le sue gravi patologie evidenziate nei resoconti ma mai adeguatamente considerate quando era il momento»
«Certamente – conclude amara – scontrarsi è sempre difficile e può causare guai, alla fine le istituzioni sono fatte da persone, con le proprie debolezze, credenze ed anche, lasciatemelo dire, pregiudizi. Perché è facile essere inflessibili con un genitore maltrattante che magari non sa neanche negare i fatti riferiti, mentre è ben più complicato con una persona attrezzata a difendersi, probabilmente patologica ma certamente abile nel mostrare il profilo migliore, quello che sa che ci si aspetta da lui. Io però adesso voglio delle risposte rispetto alle cose che ha fatto, se non a me, almeno rispetto alla bambina. La verità è che io ho sempre avuto, per tutti questi anni, un faro puntato sulla mia vita, sulle mie relazioni, sulla mia conduzione della famiglia: da lui si accontentano di una parvenza di normalità perché, mi ha detto un assistente sociale, alla fine la ragazza deve accettare il padre che le è capitato».
A cura di Bruna Tavarello