Cerchiamo di fare chiarezza sui servizi attivi a Genova grazie a finanziamenti pubblici, auto-finanziamenti, donazioni e volontariato. Cosa è stato fatto nel 2013? Quanto è stato investito sul territorio genovese per il sostegno alla violenza di genere?
Più di 750 donne si sono rivolte, nel corso del 2013, ai centri antiviolenza di Genova, 84 quelle che si sono affidate agli sportelli d’ascolto dei comuni extra territoriali di Busalla, Campomorone e Mignanego. Infine sono 14 le donne ospitate nelle residenze protette e 17 i minori con loro. I numeri del 2013 relativi alla violenza di genere sul territorio genovese raccontano una crescita: sono di più le donne che utilizzano i servizi pubblici, che si affidano alle associazioni del terzo settore per essere aiutate e sostenute. Cosa significa questo dato in crescita? Che le donne sono più consapevoli? Che il numero dei maltrattanti aumenta?
Lo abbiamo chiesto a chi queste strutture le gestisce dando supporto alle donne e alle famiglie in difficoltà. «Probabilmente si tratta di maggiore sensibilizzazione circa il fenomeno della violenza sulle donne – commenta Elisabetta Corbucci, coordinatrice del Centro Antiviolenza Mascherona – Comune di Genova – il nostro impegno associativo è cresciuto in termini di presenza sul territorio grazie a convegni, iniziative, incontri nelle scuole e incontri per consolidare una rete efficace tra gli enti che lavorano su questi temi. Le donne arrivano ai centri antiviolenza perché ne hanno sentito parlare da altre donne che si sono rivolte a noi in precedenza».
«Le donne che si rivolgono al nostro sportello sono in crescita – conferma Paola Campi della Mignanego Cooperativa Sociale Onlus che gestisce gli sportelli di ascolto di Mignanego e Bolzaneto – si parla più del tema». Sensazione confermata anche da Cosima Aiello del Centro per non subire violenza ex UDI. Da una parte assistiamo quindi ad una maggiore presa di coscienza della situazione e dall’altra la presenza di ‘luoghi’ di sostegno a libero accesso che favoriscono la crescita del numero di contatti. I dati del territorio genovese trovano conferma a livello mondiale. La violenza fisica o sessuale colpisce più di un terzo delle donne nel mondo (35%) e la violenza domestica inflitta dal partner e’ la forma piu’ comune (30%), ha dichiarato a giugno 2013 l’OMS.
Centri antiviolenza, sportelli d’ascolto e residenze protette. Era Superba ha cercato di fare chiarezza su come questa macchina al contempo meravigliosa e complicata funzioni e quali sono le forze in campo (economiche e non) e le prospettive future per l’anno da poco iniziato.
Il punto dal quale partire è l’impegno già preso nel 2013 – da riconfermare – dalla Conferenza dei Sindaci (costituita da tutti i sindaci dei Comuni il cui territorio è compreso nell’ambito territoriale dell’ASL 3) nel cercare di individuare un percorso che possa rendere ancora più efficace e semplice il funzionamento di queste strutture tramite il patto di sussidiarietà.
I patti di sussidiarietà sono uno strumento finalizzato alla realizzazione di attività, servizi e interventi sociali e socio sanitari in cui è prevista la contemporanea partecipazione dell’Amministrazione Pubblica insieme a enti e associazioni, organizzazioni senza scopo di lucro. La compartecipazione deve essere collaborativa e non competitiva. In parole povere, l’Amministrazione individua un obbiettivo da raggiungere e chiede agli enti/associazioni del Terzo Settore di aderire al progetto. Si tratta di mettere a rete le forze del pubblico e quelle del sociale. Le risorse messe in campo per la realizzazione del progetto provengono sia dalle casse pubbliche che dagli enti. Si tratta di progettare e gestire insieme un progetto. Gli enti/associazioni/organizzazioni coinvolte nel progetto dovranno poi costituirsi in Associazione temporanea di Scopo.
La Commissione consiliare che si è riunita lo scorso 7 marzo a Tursi aveva proprio l’obiettivo di fare il punto della situazione e raccontare come sono state finanziate le diverse strutture nel corso del 2013. Erano presenti le associazioni, oltre agli assessori Emanuela Fracassi ed Elena Fiorini. La Conferenza dei Sindaci dello scorso novembre, infatti, aveva incaricato il Comune di Genova, quale capofila della Conferenza, di effettuare l’analisi e la fattibilità, la definizione dei tempi e delle modalità di costruzione del patto di sussidiarietà fra Pubblica Amministrazione e Terzo Settore.
«Ho percepito la buona intenzione di fare chiarezza, dopo il silenzio da novembre e chiarire a chi sono stati destinati i fondi – dichiara Elisabetta Corbucci (Centro Antiviolenza Mascherona) – è un buon punto di partenza per istituzionalizzare il percorso di gestione dei centri antiviolenza sul territorio, sarà un modo per avere uno strumento di qualità contro la violenza di genere, ora aspettiamo le linee guida». Anche Paola Campi (Mignanego Copperativa Sociale Onlus) giudica in modo positivo «il fatto che siano state coinvolte le associazioni direttamente in un percorso che può dare buoni frutti e vuole coinvolgere tutti coloro che si occupano del problema, in modo da poterlo fare in maniera strutturata da poter garantire continuità al servizio». Aggiunge «noi lavoriamo già tramite patti di sussidiarietà per l’assistenza agli anziani, nel progetto ci sono momenti di ascolto con i servizi pubblici, si fa il punto della situazione e i dati vengono discussi a più livelli, noi ci confrontiamo con il nostro referente che poi si interfaccia coi servizi sociali».
«La mia impressione è che vi sia tutta l’intenzione di costruire una rete che possa rispondere ai vari bisogni territoriali e si sta prendendo un impegno molto preciso, cercare di coinvolgere i centri che fanno attività in questo senso, l’intenzione c’è, bisogna vedere come questo verrà tradotto in azioni», commenta Cosima Aiello (Centro per non subire violenza ex Udi).
Marilena Chirivì, responsabile Archivio Biblioteca “Margherita Ferri” di UDI, esprime «la speranza che quella del patto di sussidiarietà possa essere una soluzione per istituzionalizzare il percorso di finanziamento ai centri antiviolenza». Insomma un primo passo che era necessario compiere, come confermano le parole della Presidente della Commissione Maddalena Bartolini, consigliere comunale Lista Doria: «È stato molto importante soprattutto per chiarire il buco informativo dall’ultima commissione di novembre e le scelte di finanziamento fatte per la garanzia della continuità del servizio. Ora è necessario che la giunta dia il via libera, che gli assessori definiscano le linee guida del patto di sussidiarietà così da poter convocare le associazioni del Terzo Settore».
Innanzitutto va chiarito che, mentre la gestione del Centro Antiviolenza Mascherona, gli sportelli d’ascolto, l’alloggio sociale e la Casa Rifugio hanno un percorso a vari gradi istituzionalizzato e finanziato, le stesse associazioni che gestiscono queste strutture offrono poi, altri servizi contando solo sulle loro forze e sul volontariato. Altri servizi e aiuti che sarebbero tutti da raccontare e che qui possiamo solo elencare. In poche parole: ogni associazione oltre all’impegno “istituzionale” ha una vita propria di servizi e aiuti alle donne che autogestisce con successo. Si tratta di gruppi di donne che hanno condiviso le singole professionalità e le hanno rese disponibili per chiunque ne avesse bisogno.
Il Cerchio delle Relazioni gestisce da febbraio 2013 il Centro Antiviolenza Mascherona, l’alloggio sociale di viale Aspromonte e gli sportelli d’ascolto di Busalla e Campomorone. All’interno delle strutture operano volontarie formate appositamente per essere il primo contatto con il centro e professioniste negli ambiti legale, di counseling, psicologico e psicoterapeutico. Nel 2013 le donne che si sono rivolte al centro sono state 381; 53 agli sportelli d’ascolto e 5 sono state inserite nell’alloggio sociale.
Il centro è stato finanziato con 47.954 euro dalla Regione Liguria. L’alloggio sociale ha percepito 3.630 di fondi regionali e 18.231 euro dal Comune di Genova. Gli sportelli hanno percepito parte dei 6000 euro destinati a tutti i servizi di sportello dei comuni extra territoriali. Oltre a questo l’associazione si occupa di gestire sportelli scuola, ha creato lo spazio dell’uomo maltrattante e offre punti di ascolto donna. Gestisce l’appartamento Artemisia (per accogliere donne in pericolo) a Busalla e la struttura per minori la Chiocciola a Campomorone.
Il Centro per non subire violenza ex Udi gestisce la Casa Rifugio, all’interno della quale può ospitare, per un massimo di 6 mesi le donne e i bambini che non possono restare nella loro casa perché in situazione di pericolo. Nel 2013 sono state 9 le donne ospitate con 14 minori. Ha ricevuto finanziamenti dalla Regione per 32.416 euro e dal Comune di Genova 64.848. Oltre alla Casa Rifugio, il Centro si occupa di gestire l’appartamento di accoglienza il Melograno, una struttura madre-bambino e due sportelli scuola e può contare esclusivamente sulle forze di tre educatrici e due psicologhe oltre alle volontarie (una pedagogista, un’insegnate, la coordinatrice Aiello e le volontarie formate dal centro stesso che rispondono al telefono).
Infine, ma senza alcun ordine di priorità, ci sono gli sportelli del Comune di Mignanego e del Municipio Val Polcevera (Bolzaneto) gestiti dalla Mignanego Società Cooperativa Sociale ONLUS tramite lo sportello Pandora che offre consulenza psicologica, supporto legale e mediazione. All’interno dello sportello operano due psicoterapeute, una mediatrice interculturale, un’avvocatessa e la coordinatrice Campi. Gli sportelli avrebbero dovuto essere finanziati dal contributo della Regione destinato agli sportelli extracomune di Busalla, Mignanego e Campomorone, ma a quanto ci racconta la coordinatrice Campi loro non hanno ricevuto alcun finanziamento. La cooperativa gestisce molti altri servizi di sostegno al cittadino e nell’ambito della violenza si occupa di organizzare alcuni interventi nelle scuole.
Per anni il Centro per non subire violenza ex Udi e la sede della Biblioteca Archivio Margherita Ferri dell’UDI sono stati accomunati o meglio si è sempre pensato che in entrambi i casi si facesse riferimento all’associazione Unione Donne in Italia. In realtà si tratta di due realtà diverse. Ognuna con un proprio statuto e regolamento. A far confusione ha contribuito la denominazione del centro per non subire violenza ex Udi che utilizza il logo Udi nazionale, insieme al fatto che entrambe le associazioni abbiano sede nella stessa via cittadina, ma a civici differenti.
Per fare chiarezza una volta per tutte (la situazione non ha mancato di suscitare qualche polemica), abbiamo interpellato oltre alla coordinatrice del Centro Cosima Aiello anche Marilena Chirivì, responsabile dell’archivio e biblioteca Udi, sede di Genova.
Come detto, entrambe la realtà hanno sede in via Cairoli a Genova – per essere corretti al civico 6 vi sono Archivio e Biblioteca di genere dell’UDI-Genova e al civico 7 il Centro – e senza dubbio il sito web del Centro complica le cose inserendo il logo dell’Udi nazionale. Ma una semplice verifica sul sito nazionale UDI chiarisce che il ‘Centro per non subire violenza ex UDI’ è un ente separato e indipendente e non appare nelle sedi liguri dell’associazione. Diverse sono le nature proprie dei due enti, uno associazione culturale e politica (UDI) il cui scopo è fare cultura e informazione, azione politica e non offrire servizi , un altro che al contrario nasce proprio dalla ‘pratica’ dalla messa in atto di attività a servizio delle donne che ne abbiano bisogno. Insomma l’obiettivo è il medesimo (sostenere la donna) ma le modalità di azione sono differenti.
Chiarito che si tratta di due soggetti diversi e che agiscono in modi diversi, resta innegabile il fatto che il Centro abbia le sue radici nell’UDI, presente e impegnato per il sostegno alle donne a Genova già dagli anni 60/70, e che da lì abbia avuto origine.
Ora che è stato messo un punto sulla situazione finanziamenti e gestione della lotta alla violenza di genere per il 2013, non rimane che attendere i prossimi passi di Giunta, Conferenza dei sindaci e Associazioni verso il patto di sussidiarietà. Era Superba vi terrà aggiornati.
Claudia Dani