Lo sport è utilizzato dai media per presentare le notizie e "aiutare" i cittadini a comprendere il messaggio. Own goal (autogol) e whistleblowing (che deriva da "soffiare nel fischietto") sono due esempi
Do you remember? Vi ricordate quando, parlando delle metafore concettuali qualche puntata fa, abbiamo visto che una partita di football viene normalmente descritta come: a) una guerra; b) un’opera d’arte.
Nel lontano passato, in anni nei quali il calcio non era popolare come adesso e nei quali ancora non esisteva la televisione, i reporter dell’epoca avevano la necessità di ricorrere a immagini e concetti noti al pubblico per descrivere quanto accadeva su un campo di calcio. Le cose, tuttavia, sono cambiate molto, tanto che sempre più spesso si percorre il percorso inverso, ovvero usare espressioni dell’ambito sportivo per rendere più accessibili altri tipi di concetti.
Senza andare a Londra, Sydney o Los Angeles, basta osservare il linguaggio politico di casa nostra per trovare la famosa – o famigerata? – “discesa in campo politico”, chiaramente mutuata dal mondo del calcio. Spostandoci in Gran Bretagna, capita frequentemente di leggere titoli e frasi quali: Tony Blair’s own goal oppure, per par condicio, David Cameron’s own goal . To score an own goal significa infatti “segnare un autogol,” l’azione più disgraziata che possa capitare a un giocatore di calcio. Ne era suo malgrado uno specialista il difensore italiano Riccardo Ferri, preso in giro in una canzone di Ligabue per questa sua “peculiarità”, ma a quanto pare il vizio di segnare delle autoreti si è diffuso anche in ambito politico…
Non è altresì raro imbattersi nell’espressione to move the goal posts, letteralmente “spostare i pali della porta,” con la quale si intende un cambiamento delle regole a trattative in corso.
Un altro termine importato dal linguaggio sportivo è whistleblowing, ovvero l’attività di denuncia di una condotta fraudolenta all’interno di un’azienda, di un’istituzione o di un contesto lavorativo. Nello sport, blowing the whistle – letteralmente “soffiare il fischietto” – è l’azione compiuta dall’arbitro per interrompere il gioco durante una partita al fine di punire con un fallo un’azione irregolare. Il whistleblower, tale è il nome della persona che riferisce l’illecito, dimostra notevole coraggio perché non è certo facile – anzi, è assolutamente ammirevole – fare parte di un sistema e denunciarne dall’interno le dinamiche malate o il marciume. Pensate, rimanendo in Italia, all’allenatore Zdenek Zeman, il quale fece attività di whistleblowing portando l’attenzione dell’opinione pubblica sulla diffusione delle pratiche dopanti nel nostro calcio: la reazione del suo stesso ambiente nei suoi confronti culminò una pioggia di insulti e critiche.
Un altro celebre caso di whistleblowing è quello del tenente Frank Serpico della polizia di New York. Illustre italo-americano, secondo altri poliziotti del suo dipartimento ebbe la “colpa” di non accettare le mazzette e di aver denunciato diverse abitudini corrotte tra coloro che dovevano essere i tutori della legge. Furono i suoi stessi colleghi a farlo cadere in un agguato in cui Serpico, colpito al volto da un proiettile, rischiò di perdere la vita.
La storia dell’agente del NYPD (New York Police Department) figlio di emigranti campani è stata ripresa e raccontata dal bellissimo film di Sidney Lumet, “Serpico”, con Al Pacino nei panni dell’omonimo protagonista; una pellicola assolutamente da vedere, nell’attesa che qualcuno inizi a soffiare anche in qualche fischietto italiano… Bye!
Daniele Canepa