Il periodo della giovinezza gli inglesi lo chiamano "salad days", i giorni dell'insalata. E' una frase presa in prestito dall'opera Antonio e Cleopatra di William Shakespeare. E non è l'unica...
Nell’ultima settimana mi è capitato due volte che studenti o conoscenti mi chiedessero lumi riguardo a un inglese alquanto famoso che risponde al nome di William Shakespeare. Non credendo alla casualità ma alla causalità degli eventi, ho pensato fosse giusto usare la puntata di oggi per raccontare qualcosa su The Bard, il Bardo, soprannome con il quale l’autore è conosciuto.
Innanzitutto, partiamo dalla pronuncia corretta del cognome, che probabilmente vi stupirà già in partenza. La prima “a” non si legge “e” come in molti credono, ma con il dittongo “ei”, proprio come nella parola shake, che probabilmente già conoscete come verbo dal significato di “scuotere” o “stringere”, nel caso di to shake hands, “stringersi la mano”.
Nato nel 1564 nella graziosa cittadina di Stratford-upon-Avon e morto nel 1616, Shakespeare è stato una delle figure più prolifiche e influenti non solo della letteratura inglese, ma di quella mondiale. Diversi studiosi si chiedono se egli stesso abbia realmente scritto tutte le opere teatrali che convenzionalmente gli sono attribuite e le opinioni riguardo alla biografia del più grande drammaturgo – nonché poeta – inglese sono talvolta discordanti. Parlarne nel dettaglio in questo breve articolo non mi sembra opportuno, per cui fingerò di ignorare i misteri e sospetti che aleggiano intorno al Bardo – così come il fantasma del padre svolazzava attorno a Hamlet, protagonista dell’opera forse più nota di Shakespeare – e fingerò che effettivamente sia lui l’autore di tutti i lavori che gli vengono attribuiti.
In particolare, è opinione piuttosto diffusa che Shakespeare (ricordate la pronuncia corretta) abbia inventato centinaia di nuove parole ed espressioni. In realtà le cose non sono andate proprio così, nel senso che nessuno inventa nulla che non esista già, perlomeno nelle lingue. Una lingua, infatti, è un insieme di elementi limitati (il vocabolario, per quanto ampio, ha un numero finito di parole) che possono essere combinati tra loro per creare un numero potenzialmente illimitato di frasi: si chiama, questo, aspetto creativo del linguaggio umano.
Non voglio ovviamente sminuire Shakespeare. Credo che qualsiasi scrittore sarebbe felice di essere bravo un milionesimo della metà di quanto fu un genio lui nell’arte di usare parole e frasi e comporle in modo inusuale e creativo per descrivere personaggi, stati d’animo ed emozioni universali.
E’ comunque innegabile che, sia che fossero farina del suo sacco sia che fossero “prese in prestito” dall’ambiente che il Bardo frequentava, diverse frasi o espressioni che si trovano nei lavori di Shakespeare sono entrate a far parte dell’inglese che parliamo oggi:
– to be or not to be, that is the question, “essere o non essere, questo è il problema”, da Hamlet;
– a foregone conclusion, “un risultato scontato”, da Othello;
– all’s well that ends well, “tutto è bene quel che finisce bene”, dall’opera omonima;
– salad days, “il periodo della giovinezza”, da Anthony and Cleopatra.
Con l’ultima espressione, che letteralmente si tradurrebbe “i giorni dell’insalata”, Shakespeare faceva riferimento ovviamente al colore della pianta, il verde, associato alla gioventù, e non al fatto che già ai tempi i ragazzi si lanciassero in diete a base di insalatone per avere un fisico sempre più tonico… See you!
Daniele Canepa