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Lega Nord: l’analisi politica fra seccessione e folklore

Prima derisa, poi presa sul serio dopo i successi elettorali: proviamo ad analizzare ventanni di politica della Lega Nord


14 dicembre 2011Rubriche > "Polis" Critica Politica

Umberto BossiBossi l’altro ieri ha commentato: «La guerra l’ha persa l’Italia e l’ha vinta la Padania. Il resto sono tutte cazzate!». Commentando la crisi dell’euro, poi, ha aggiunto: «La Padania si farà la sua moneta, mica può continuare a mantenere tutti questi farabutti!». Ordinaria amministrazione, si dirà. Dopo diti medi, rutti e scoregge ormai ci siamo abituati a tutto.

E per carità! Da un lato è certamente giusto non prendere troppo sul serio queste cose. La Lega Nord minaccia la secessione dagli anni ’90, ma nella pratica non ha mai disdegnato le poltrone romane. Ha sempre fatto un po’ il partito “di lotta” e un po’ il partito “di governo” a seconda di quando perdeva o vinceva le elezioni: per cui certe sparate sembrerebbero davvero poco credibili.

Eppure è da molti anni ormai che il fenomeno della Lega Nord viene considerato con una certa serietà. Dopo le diffidenze e le risatine che i media riservarono a Bossi e ai suoi per tutti gli anni ’90, in seguito, con le vittoriose elezioni del 2001 e 2008, molti commentatori si dovettero ricredere: si riconobbe alla Lega un forte radicamento sul territorio, amministratori locali generalmente capaci e il monopolio sul tema centrale della sicurezza.

Tant’è che l’influenza di Bossi su tutto il centrodestra, soprattutto in tema di immigrazione e lotta alla piccola criminalità, si è estesa fino a diventare predominante. Questo ha amplificato l’importanza percepita del Carroccio nello scacchiere della politica; ma bisogna fare attenzione a non sopravvalutare il fenomeno.

Un conto è riconoscere alla Lega alcuni successi e un’oggettiva capacità di farsi portavoce del disagio di una certa parte del paese, un altro conto è dare credito a velleità autarchiche e tendenze secessioniste.

Non dovremmo dimenticare di valutare il merito delle proposte leghiste: non basta riderne, così come non si può dare la patente di rispettabilità a un partito solo per via di discreti successi elettorali del passato. Certo, discutere la politica leghista come si trattasse di una cosa seria è un esercizio impietoso: ma almeno non si da l’impressione che si faccia ironia per nascondere la mancanza di argomenti seri. E poi, in un momento in cui Bossi scommette sullo sfascio del paese, è sempre utile ricordarsi per quali motivi il folklore leghista non sia un’opzione da prendere seriamente in considerazione.

Ora, è indubbio che il Carroccio abbia costruito il suo successo elettorale sul tema della lotta all’immigrazione e sul federalismo. Ma è altrettanto indubbio che i risultati concretamente ottenuti, anche se sbandierati come vittorie ineguagliabili, siano stati piuttosto scarsi.

In tema di federalismo segnalo una bellissima puntata di Report di fine ottobre; e sulla reale composizione del problema dell’immigrazione clandestina rimando ad un bel articolo di Maurizio Ambrosini del luglio 2009 su Lavoce.info.

Questi riferimenti sono utilissimi per soppesare una componente ineliminabile dei partiti populisti: vendere fumo al proprio elettorato. In questo Berlusconi e Bossi si intendevano benissimo. L’importante non è tanto raggiungere un risultato, ma convincere chi ti vota di averlo raggiunto.

Prendiamo la lotta alle mafie. A parte il fatto che tutti i governi hanno fatto pochissimo per azzoppare la criminalità organizzata là dove davvero conterebbe, cioè sul versante economico-finanziario e il riciclaggio del denaro sporco; resta comunque agli atti la cattura di diversi boss di peso, che ha dato lustro e rispettabilità all’azione del ministro Maroni. Il quale, infatti, non perdeva occasione per sottolineare i propri meriti. E difatti, quando l’altro giorno hanno arrestato Michele Zagaria, l’ultimo boss della vecchia guardia dei Casalesi, quasi quasi la festa non sembrava riuscita senza le dichiarazioni dell’ex-ministro dell’interno. Ma come: arrestano un boss e nessuno se ne prende il merito?

Eppure oggi abbiamo scoperto che le forze dell’ordine e la magistratura gli arresti riescono a farli benissimo anche senza i politici. Ma più che valutare quello che la Lega ha fatto nel passato, mi interessa qui discuterne le premesse teoriche, le basi ideologiche e il progetto politico.

La ragione d’essere del Carroccio è la difesa degli interessi del Nord, cosa che presume una qualche forma di abuso da parte di Roma e da parte del Sud: e non c’è dubbio che il paese viva uno squilibrio storico, nel senso che aree geografiche a lungo sotto dominazioni straniere diverse si sono ricongiunte 150 anni fa senza che il Mezzogiorno riuscisse mai a raggiungere il livello di sviluppo e occupazione del settentrione. Si chiama “questione meridionale” ed è figlia di un processo di unificazione fortunoso e rocambolesco.

Ma da questi dati di fatto, così come dai legittimi interessi della parte produttiva del lombardo-veneto, non si può in alcun modo giungere alla conclusione che mettere il Nord contro il Sud o lavorare per la secessione siano pretese accettabili. Innanzitutto non sono esigenze condivise. Persino Beppe Grillo è arrivato a dire che, se si facesse un referendum, il Nord si staccherebbe dal resto d’Italia. Ma è una bufala colossale.

I numeri raccontano che alle ultime elezioni su 36.457.254 votanti la Lega ha raccolto 3.024.543 voti: vale a dire l’ 8,3 %. Si dirà: se ci concentriamo al Nord, la percentuale sale. Vero. Ma anche in Lombardia e in Veneto i seggi conquistati dalla Lega nel 2008 sono stati più o meno gli stessi di quelli del PD (che le elezioni le perse).

Inoltre bisogna considerare che molti votano Lega più per la politica dura contro l’immigrazione che per altro. E attualmente i sondaggi non sono positivi. A ben vedere, dunque, coloro che confidano nella secessione come soluzione estrema sono un’esigua minoranza. Ed è normale che sia così. L’idea di uno Stato autarchico padano che batta moneta propria è talmente assurda che non ci credono nemmeno i dirigenti leghisti. Un Nord che chiudesse le frontiere e facesse import/export in talleri che tipo di chances di sviluppo potrebbe mai avere? Inoltre la “Padania” è chiaramente un’invenzione folkloristica. Non che le differenze regionali e geografiche non esistano: abbiamo una varietà vastissima di dialetti e usanze locali. Ma questo non dà alla Lombardia più ragioni culturali di pretendere un proprio Stato di quante non ne darebbe alla Puglia o alla Sardegna. La vera ragione per cui al Nord potrebbe interessare la secessione sarebbe quella di togliersi la palla al piede di un Sud che non riesce a svilupparsi. Ma non è un caso che non esistano precedenti al mondo su basi simili.

Anche il caso degli Stati Uniti, che raggiunsero l’indipendenza a spese dell’Inghilterra per ragioni essenzialmente fiscali, non è nemmeno lontanamente paragonabile: avvenne più di duecento anni fa, con distanze geografiche enormi e soprattutto con il motivo determinante dell’ostinazione inglese a trattare gli americani come colonizzati e non come colonizzatori.

Se la Padania dovesse nascere davvero, allora sulle stesse basi il Veneto potrebbe a sua volta chiedere l’autonomia dalla Padania! Infatti liberandosi di Piemonte e Liguria si ritroverebbe uno Stato più omogeneo economicamente.

Se passasse l’idea che lo sviluppo non si raggiunge insieme, ma che basti tagliare i rami secchi, si diffonderebbe un virus da cui non sarebbe immune nemmeno un ipotetico Stato padano. Per questo oggi nessuno Stato moderno e democratico tollera che al suo interno operino spinte secessionistiche tanto dichiarate e pretestuose: non solo perché il mondo va in direzione opposta, ma anche perché questo minaccia la coesione interna.

Se abbiamo un paese diviso e frastagliato, che è politicamente incapace di prendere decisioni condivise, ciò è anche causa ed effetto insieme di spinte secessionistiche come quelle leghiste.

Da tifosi di calcio, non tollereremmo che i giocatori della nostra squadra pensassero solo a se stessi remando contro; ma trattandosi di politica, queste cose vengono curiosamente sottovalutate. Così come viene sottovalutato il razzismo strisciante che è insito in tutto questo. Quando nel 2009 Berlusconi venne colpito da una statuetta lanciata da uno squilibrato, partì un processo mediatico che fece le pulci a tutti coloro che a sinistra avevano osato rivolgergli critiche troppo aspre. Poi si scoprì che le cose non avevano alcuna correlazione e che l’aggressore aveva agito così solo a causa dei suoi disturbi mentali.

Ora che un antisemita iscritto a Casa Pound ha ucciso due senegalesi, a qualcuno verrà in mente di suggerire che forse certi messaggi provenienti da destra hanno una qualche responsabilità nell’accaduto?

Andrea Giannini


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