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Refugees Welcome, la piattaforma on line per l’accoglienza dei migranti. Quando domanda e offerta si incontrano

Un progetto nato in Germania per mettere in contatto i rifugiati in cerca di una casa e i cittadini che decidono di offrirla. Molte adesioni anche a Genova


16 giugno 2017Notizie > Migranti

refugees welcomeNei tempi rapidi in cui viviamo, spesso la realtà e le consuetudini anticipano il lento carrozzone degli enti formali e istituzionali. Il discorso vale per le imprese commerciali, per il lavoro, per la creatività e l’arte, per l’informazione, ma non solo: da oggi anche la solidarietà si muove sulle ali della tecnologia. Anche a Genova arriva “Refugees Welcome”, il luogo virtuale dove chi cerca accoglienza può trovare chi gliela offre.


La piattaforma online dove si incontrano domanda e offerta

Si tratta di una piattaforma online di origine tedesca, ma che ormai opera in diversi Paesi europei: Austria, Grecia, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia e anche Italia. L’idea è venuta a una coppia tedesca, che si è chiesta che cosa poteva fare per diminuire la distanza fra “Noi”, i cittadini dei Paesi che accolgono, e “Loro”, i rifugiati. La risposta è sfociata nella creazione di un portale, che funziona da luogo di incontro fra la domanda e l’offerta. L’offerta è composta da quei “soggetti” (individui, famiglie, gruppi di amici conviventi) che hanno del posto libero in casa e vogliono metterlo a disposizione di soggetti svantaggiati. La domanda, invece, è rappresentata da quanti, avendo già ottenuto lo status da rifugiato o il permesso di soggiorno, escono dal “limbo” dell’accoglienza istituzionale e devono camminare sulle sue gambe: trovare un lavoro, una casa… insomma, costruirsi una vita autonoma, anche economicamente. Ma non solo: rientrano nella categoria dei soggetti che possono essere aiutati anche persone che si trovano in uno stato di bisogno economico (disoccupati o ragazze madri, per esempio).

 

Perché aderire al progetto: un grande esempio di solidarietà

A Genova, si sono iscritti già 12 soggetti: 4 famiglie, una donna lavoratrice trasfertista, una ragazza che convive con il fidanzato, alcuni studenti e un gruppo di amiche che ha deciso di convertire un piccolo business di Airbnb. Francesca Martini, una delle fondatrici del progetto in Italia e referente di Genova, che ha presentato il progetto, ha spiegato: «Più che di accoglienza si tratta di ospitalità domestica. Abbiamo deciso di sganciarci dall’idea di famiglia di un certo tipo: l’esperienza è aperta a singoli, anziani, coppie gay o etero, studenti o famiglie mamma papà e bambino». A Genova, il primo a usufruire del servizio è stato Mohamed, accolto da una giovane coppia di Campomorone, Roberto, ingegnere di 33 anni, Simona e la loro piccola figlia, Irene (5 mesi). Simona ha spiegato che, anche se la figlia è troppo piccola e probabilmente da adulta non avrà ricordi dell’esperienza, vedendo le foto avrà dimostrazione di un atto di solidarietà, dal quale non potrà che imparare. Della stessa idea è la giovane donna che, quando si è accorta di aspettare un bambino, ha deciso di aderire alla piattaforma: «Mi sono chiesta che cosa potrò rispondere a mia figlia quando sarà grande e mi chiederà che cosa ho fatto per loro». Fra i beneficiari dell’accoglienza, c’è anche una ragazza madre italiana.

 

Un altro tipo di accoglienza è possibile

In Italia, Refugees Welcome esiste, oltre che a Genova, a Milano, Torino, Bologna, Abruzzo, Padova, Marche, Romagna, Firenze, Catania e Cagliari. «L’obiettivo è dimostrare che un altro tipo di accoglienza è possibile, che il fenomeno delle migrazioni è qualcosa che ci riguarda, non vogliamo seguire un modello di accoglienza assistenzialistica o caritatevole o tanto meno come scopo di business, il nostro sistema punta alla condivisione, allo scambio reale». Questo non significa, però, che saranno i soggetti ospitanti a doversi sobbarcare l’intero costo del progetto. Come ha spiegato Germana Lavagna, anche lei promotrice del progetto nella nostra città: «Attivando una rete di amici e familiari che vogliono aiutarti e sentirsi parte di quest’esperienza, raccoglieremo piccole donazioni mensili per aiutare a sostenere le spese. Mandiamo delle richieste via mail ad amici e conoscenti: i contribuiti mensili variano dai 3 ai 50 euro mensili e saranno versati attraverso bonifici bancari o donazioni anticipate».

 

Al di là delle critiche

Un progetto che si potrebbe collocare quindi al di fuori delle critiche che vengono fatte al sistema di accoglienza istituzionale e sfuggendo alla logica del “quanto ci costa accogliere un immigrato” e disintegrando i qualunquismi del “se li accogliessero in casa loro”. Si tratta anche di un modo attraverso il quale «I cittadini possono essere attori attivi e non passivi dell’accoglienza, oltre quelle che saranno le decisioni dei Sindaci e dei Prefetti», come ha spiegato Michele Acampora, anche lui promotore dell’iniziativa genovese. Michele, che abbiamo intervistato, ci spiega che il progetto si colloca in un’ottica totalmente apolitica. Il sistema dell’accoglienza “normale”, spiega: «continua a essere essenziale. Fornisce infatti supporto legale e finanziario (per esempio con il pocket money) che è importantissimo». Tuttavia, «dal momento che nell’accoglienza i contatti fra i ragazzi e i cittadini sono praticamente assenti, si tenta con questo progetto di superare questi limiti. La convivenza aiuta a superare questi ostacoli, per esempio quello della lingua», prosegue Acampora. Ci viene anche spiegato in che modo Refugees Welcome garantisca che lo scambio sia davvero paritario, e non un rapporto di subordinazione di chi è ospitato nei confronti dei suoi “benefattori”. «Attraverso una serie di incontri preliminari, che durano circa cinque mesi, si definiscono le caratteristiche del soggetto così bene da creare il match perfetto – spiega Acampora – alla fine del percorso, si crea un progetto di accoglienza, che viene approvato da entrambe le parti». L’intervistato tiene a ribadire che «il progetto è un passo diverso dall’accoglienza istituzionale, alla quale non vuole contrapporsi”, pur riconoscendo che il sistema istituzionale è “affaticato”. Michele non sa dare una soluzione a tale disfunzione: «forse uno snellimento delle procedure, ma non nel modo in cui è stato fatto, cioè creando procedure legali diverse per gli italiani e per gli stranieri».

Ilaria Bucca

 


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