Cercando di recuperare alcuni concetti fondamentali nel modo più semplice possibile, direi che la politica esiste grazie a due verità elementari: la prima è che c'è sempre qualcuno che cerca di fregarci; la seconda è che non esistono “buoni e cattivi”
“Eraclito biasima il verso del poeta: «possa estinguersi la contesa, via dagli dei e dagli uomini». Difatti non vi sarebbe armonia se non vi fossero l’acuto e il grave, né vi sarebbero animali senza la femmina e il maschio, che sono contrari”. (Aristotele, Etica Eudemia, 1235 a 25-28)
Talvolta i commentatori sono talmente occupati a scrivere, persi dietro il percorso dei loro stessi pensieri, da non accorgersi che i lettori non riescono a seguirli. Premesse o concetti considerati scontati, spesso non lo sono affatto: e l’incapacità di rendersi conto di questo aspetto può pregiudicare la comprensione di analisi altrimenti anche raffinate.
Nel mio caso, non potendo contare su una grande originalità e dovendo puntare tutto sulla semplicità e la linearità d’espressione, ritenevo, se non altro, di non aver tralasciato nulla: pensavo cioè che la mia esposizione fosse magari non condivisibile, ma almeno chiara; che non occorresse preoccuparsi di definire nozioni ancora più elementari.
Tuttavia, quando discuto con altre persone di quello che tratto nei miei articoli, mi rendo conto che spesso, alla base di un’incomprensione, sta la mancanza di un qualche concetto di base; anzi, per essere precisi, che la difficoltà a capire dipende da certe menti fini e dalla loro abilità di inquinare il dibattito pubblico con analisi complesse, allo scopo preciso di far perdere di vista delle verità semplici. (E dunque attenzione agli “esperti”: è vero che ci vuole molta competenza per trattare temi difficili; ma è anche vero che chi è competente può prendere facilmente in giro chi competente non è. La competenza non è una garanzia assoluta di affidabilità).
Cercando di recuperare alcuni concetti fondamentali nel modo più semplice possibile, direi allora che la politica esiste grazie a due verità elementari: la prima è che c’è sempre qualcuno che cerca di fregarci; la seconda è che non esistono “buoni e cattivi”.
Il primo punto è piuttosto scontato: lo impariamo da bambini, quando la mamma ci ricorda di non accettare le caramelle dagli sconosciuti, e lo sperimentiamo da grandi, quando ad esempio l’operatore del call-center si prende il disturbo di telefonarci per farci conoscere una grande promozione riservata solo a noi. Naturalmente questo non significa che non ci siano persone di cui ci si possa fidare ad occhi chiusi: significa solo che ci sono anche quelle che si vogliono approfittare di noi. Ed è giusto preoccuparsi di riconoscerle.
Il secondo punto può sembrare un po’ meno scontato, anche se ci si potrebbe aspettare che, passata l’adolescenza, i più abbiano metabolizzato il lutto per il fatto che la realtà non è quella dei cartoni animati giapponesi o dei film americani più scadenti. Ma se per caso non aveste passato questa fase, dove i buoni sono sempre super-buoni e i cattivi super-cattivissimi ansiosi di distruggere ogni forma di vita nell’intero universo (evidentemente perché amano la quiete e vogliono solo essere sicuri che nessuno li disturbi); ecco, se siete ancora convinti che le cose stiano in questo modo, che la realtà non sia più complicata, ebbene non vi sto a dire di andarvi a recuperare tutta la tradizione politica e filosofica dall’illuminismo ad oggi, o di leggere un Beccaria o un Victor Hugo. Vi invito piuttosto a far caso ad un’altra cosa: che quelli che ragionano con queste categorie hanno poi interesse a pensare di essere loro stessi dalla parte giusta, mentre tutti gli altri, quelli che mostrano un orientamento diverso, che si oppongono o che la pensano diversamente, vengono messi nella parte sbagliata.
Quelli convinti di essere i “buoni”, poi, hanno idee molto diverse tra loro di cosa sia questa presunta bontà che li rende speciali; col che si dimostra non solo che un criterio univoco non esiste, ma anche quale sia la reale funzione di questa contrapposizione: non certo l’idea filosofica di ciò che è buono e giusto, ma la contrapposizione stessa.
Da che mondo è mondo i buoni servono per sconfiggere i cattivi, ma se la bontà e la malvagità non sono il punto in questione, allora di questo discorso non rimane che un’idea: la sconfitta dell’altro. Questa distinzione è dunque funzionale a una logica di lotta, di annichilimento dell’avversario, che viene prima delegittimato e poi abbattuto. Nella storia essa è servita sempre ad identificare un nemico, a compattare il consenso, a reprimere il dissenso o a galvanizzare le truppe – tant’è che possiamo mantenerla ancora oggi, per comodità, quando parliamo di cose o persone che è tutto sommato inevitabile contrastare (come la pederastia, il nazismo o gli assassini seriali).
Se siamo d’accordo su questi due punti, talmente elementari che non dovrebbero suscitare molte obiezioni, allora basta metterli insieme: ne consegue che abbiamo spesso a che fare con gente che tenta di fregarci, ma che non per questo possiamo delegittimare; che non tutti quelli che perseguono fini diversi o contrari ai nostri possono essere criminalizzati. Il che comporta una conseguenza evidentemente non così banale come credevo da principio: il conflitto è una parte ineliminabile della vita sociale.
Le persone sono diverse, perseguono obiettivi diversi e questi obiettivi spesso entrano in contrasto: questa è una cosa che non può essere eliminata da nessuna concezione della società elaborata finora, o che possa essere elaborata in futuro. I conflitti sociali – che non sono necessariamente le guerre, ma rivendicazioni per ottenere assetti favorevoli per sé – sono una parte integrante delle società umane: e la politica è lo spazio di attività dove i conflitti cercano un punto di equilibrio.
Questo implica, però, che esistano almeno due parti con interessi diversi e legittimi. Ecco perché in passato ho polemizzato con chi sostiene che il conflitto destra-sinistra sia superato: perché questi in qualche modo immaginano una società utopica in cui non sia necessario dividersi e contrapporsi per rivendicare le proprie istanze. Per lo stesso motivo ho polemizzato anche con la destra e la sinistra che hanno dominato la scena politica italiana: perché per vent’anni e fino ad oggi hanno perseguito obiettivi politici del tutto identici.
In questo senso Napolitano è uguale a Grillo: entrambi infatti rappresentano visioni della società nelle quali non occorre dividersi più di tanto. Per Napolitano destra e sinistra devono agire insieme per il bene del paese: e per questo motivo tende o a minimizzare le differenze, riducendole a mere “sensibilità”, o a stigmatizzarle, definendole “egoismi di parte”. Grillo, dal canto suo, pensa che la differenza principale sia quella tra il suo movimento, che difende una concezione della politica moderna, aperta e trasparente, e la vecchia politica, ancorata a una concezione antiquata, chiusa e opaca. Entrambi pensano che sia possibile fare “la cosa giusta” in senso assoluto, e che distinguere tra una “cosa di destra” e una “cosa di sinistra” sia una questione di principio assurda. Al fondo sta la concezione della politica come semplice amministrazione, comune anche ad opinionisti del calibro di Marco Travaglio.
Nella realtà tuttavia non esiste qualcosa come “la cosa giusta”: esistono invece soluzioni più favorevoli a certi gruppi sociali o ad altri. Le cosiddette situazioni “win-win”, dove tutte le parti in gioco “vincono”, sono estremamente rare. È molto più frequente il caso in cui soluzioni favorevoli ad una parte vengano spacciate come soluzioni favorevoli a tutti. Si prenda ad esempio l’idea moderna di società orientata allo sviluppo economico, al benessere: si pensava, dopo la caduta del comunismo, che questo fosse un obiettivo sufficientemente inclusivo per superare i conflitti di classe nel nome di un interesse superiore. Ne è venuto fuori che il neo-liberismo è diventato il paradigma dello sviluppo generale e la sperequazione è aumentata paurosamente, con ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.
Con questo esempio si dimostra che è una grande ipocrisia quella di raccontare alla gente che il conflitto non esiste, che c’è sempre una soluzione che vada bene per tutti. Purtroppo le cose non sono così facili. Tuttavia accettando l’esistenza di contrapposizioni fisiologiche, come il conflitto distributivo, si può metabolizzare il problema e gestirlo: al contrario ostinarsi a negarlo serve solo a farlo deflagrare con conseguenze molto più gravi per tutte.
Andrea Giannini