Il magma rivoluzionario sul finire degli anni 70 ha perso incandescenza, ma gode di maggiore considerazione istituzionale. È l'epoca dei grandi festival e del "Banana Republic". Negli anni 80 tutto diventerà "attività professionale"
Considerando a distanza i movimenti storici, culturali, artistici si pone in evidenza un tratto comune: il massimo livello di carica espressiva viene raggiunto nel periodo in cui già si fanno sentire le prime avvisaglie di “crisi”. Anche il periodo da noi affrontato in questa lunga serie di scritti non sfugge a questa “regola”, infatti l’impatto sociale massimo si ebbe nella seconda metà degli anni ’70, quando già si riconoscevano i primi segni del riflusso. L’energia creativa liberata tenne, tuttavia, banco ancora per diversi anni, da un lato recepita a posteriori dalle istituzioni; dall’altro tenuta in vita, artificialmente, dall’industria culturale unicamente per scopi commerciali, in scenari socio-economici globalizzati e ormai radicalmente modificati, dove la creatività continuerà a vivere come “ricerca individuale” impossibilitata a divenire – nell’orizzonte di oggi – comportamento diffuso e condivisibile.
Se l’espressione artistica, nelle sue punte più avanzate, spesso “anticipa la storia” (intendendo con questo la capacità visionaria di prefigurare nuovi mondi possibili, indicare faticosi sentieri per un cambiamento praticabile, segnare direttamente la linea di rottura con linguaggi/schemi sociali/concezioni del mondo/abitudini e costumi radicati e tradizionali…), parallelamente libera energie creative che nel loro impatto con la società, continueranno a dare frutti (…”cattivo esempio”?…) per un periodo più o meno lungo, anche quando il magma rivoluzionario avrà ormai attenuato la propria incandescenza e le spinte più spontanee e anarcoidi saranno rifluite o addomesticate. Segno di questa “bolla di energia” potrebbero essere considerate da un lato la linea di continuità creativa e produttiva di musicisti, gruppi, etichette etc…che rimarranno in attività, con tutte le difficoltà esterne, dovute ad un paesaggio sociale ormai radicalmente mutato, ed interne, “psicologiche”, dovute ad un senso di isolamento, straniamento, crisi di identità (sentimento che, bruciante, toccò soprattutto i compositori di ari colta). Questo da un lato, dall’altro una risposta “istituzionale” – di necessità in ritardo sulla storia viva – che comunque recepì i desideri di cambiamento.
Nel nostro paese l’epopea dei grandi festival iniziò verso la fine degli anni ’70, quando già si iniziavano ad intravedere i primi effetti del “riflusso”. Nuovi amministratori negli enti locali – conseguenza diretta di un diverso assetto politico-istituzionale – permisero e/o attuarono (grosso modo fino alla seconda metà degli anni ’90) una programmazione, a volte coraggiosamente aperta alle correnti espressive più recenti. Molti compositori contemporanei e “sperimentali” (pur in piena crisi di identità, come si è appena ricordato) ricevettero concrete proposte di lavoro e le loro opere vennero messe in cartellone, insieme ai classici. Anche il jazz e il blues uscirono dalla dimensione “underground” per raggiungere, grazie a importanti rassegne come Umbria Jazz, Siena Jazz, Pistoia Blues etc…un più vasto pubblico di appassionati. La riuscita di questi appuntamenti di grande risonanza si dovette anche ad un impegno istituzionale impensabile fino a qualche anno prima.
Per la canzone d’autore – che , come si è visto iniziò in sordina e accompagnò in crescendo tutta l’evoluzione della vita politica italiana – ora, mentre il movimento stava rapidamente spegnendosi, arrivò l’epoca dei grandi concerti negli stadi: la tournèe di “Banana Republic”, di F. De Gregori e L. Dalla, i concerti di Vasco e, un po’ dopo, Ligabue. I nuovi equilibri politico-partitici portarono ad una riforma del servizio pubblico radio-televisivo (…possiamo pure leggere “lottizzazione”…): nacque “Rai tre”, più sensibile alle tematiche socio culturali care alla sinistra. Il fenomeno di una maggiore considerazione istituzionale riguardò, con precipue caratteristiche, anche le arti visive, la poesia, il teatro (ad esempio Dario Fo e Giorgio Gaber, figure molto vicine al movimento approdarono in Tv). Ma se nei primi anni ’60 tutto avveniva magmaticamente, nel “fuoco degli eventi” (…non solo in senso figurato…), dove c’era chi si improvvisava organizzatore, impresario, discografico, conduttore radiofonico, cantautore (molti che oggi sono affermati iniziarono così), ora – negli anni ’80 – tutto diventerà “attività professionale” con i ricordi dell’entusiasmo movimentista ormai alle spalle. Ecco, a questo punto il mercato – che di solito è colto di sorpresa dai sommovimenti sociali realmente innovatori – iniziò a dare consistenza ai tentativi di recuperare terreno, cavalcando l’onda della grande diffusione delle “nuove idee”.
Gianni Martini