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Perché votare se tanto non serve a nulla? Molti italiani riescono ancora a trascinarsi alle urne per senso di responsabilità e, tra un Movimento che non riesce a costruire il rinnovamento e un Pdl lontano dai fasti di un tempo, la spunta un Pd senza meriti
Nessuno ha fatto notare che il grande astensionismo registrato alle ultime elezioni comunali potrebbe anche avere una qualche attinenza anche con la diffusa percezione che le amministrazioni comunali e regionali facciano molto poco per i cittadini. Da una parte ciò si deve sicuramente alla reminiscenza degli scandali tipo Franco Fiorito, che hanno contribuito a consolidare l’idea che il cambio di giunta sia solo il passaggio di testimone tra consorterie di diverso colore, ma tutte comunque dedite al medesimo “magna magna”. Dall’altra parte c’è l’esaurirsi della speranza e della voglia di cambiamento che avevano ingrossato l’onda arancione, responsabile tra 2011 e 2012 delle vittorie di Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli e Doria a Genova. Infine c’è il patto di stabilità, che l’ANCI ha sempre denunciato come una delle principali limitazioni all’effettiva autonomia di movimento dei comuni. Ci sono buone ragioni, insomma, perché il cittadino medio si domandi: perché votare, se tanto non serve a nulla?
Il dato dell’astensionismo deve far riflettere anche sotto un altro punto di vista. I sondaggi nazionali continuano a dare il PDL in vantaggio rispetto al PD, seguito a sua volta da un M5S in caduta. Il voto comunale, però, ha a dir poco affossato sia il partito di Berlusconi che il movimento di Grillo; a riprova del fatto che certamente erano in gioco dinamiche diverse, di tipo locale. Tuttavia lo scarto è troppo marcato perché ci si possa accontentare di una simile spiegazione. In realtà, se il PD ha retto mentre gli altri sprofondavano, ciò non si deve solo ai candidati azzeccati (v. Marino a Roma) o ai disastri delle concorrenza (v. Alemanno sempre a Roma), ma anche al fatto che in questa fase di estrema difficoltà economica ed enorme incertezza politica il partito di Epifani rimane l’unica scelta percorribile.
I fan di Berlusconi – lo sappiamo – sono uno zoccolo duro consistente (a spanne) in un 25% dei votanti: a meno che il Cavaliere non finisca affossato da qualche scandalo dei suoi, questi fedelissimi risponderanno sempre presente. Tuttavia Berlusconi alla comunali non corre; e alle nazionali sta giocando in senso conservativo, tenendo quel basso profilo che gli consenta di portare a casa il “soccorso rosso” degli alleati per i suoi processi e la tanto sospirata abolizione dell’IMU: abbastanza per permettergli di vivacchiare, ma troppo poco per fare del centro-destra una grande onda in grado di smuovere il paese come ai vecchi tempi.
Ci si aspettava piuttosto che la mancanza di proposte politiche sarebbe stata colmata dal movimento di Grillo: ma purtroppo anch’egli ha i suoi problemi. Di certo l’atteggiamento della stampa non aiuta. Di certo c’è anche una questione di inesperienza, che è alla base di una serie di errori più o meno evitabili (a riguardo sono in parte d’accordo con l’analisi di Andrea Scanzi). Di certo, infine, c’è una grossa questione di forma, cui facevo accenno giusto la settimana scorsa. Eppure tutto questo non basta a spiegare l’arresto di quella che sembrava già una cavalcata trionfale. C’è di più: al fondo c’è una questione di contenuti. Anzi, è proprio la mancata transizione da movimento a forma-partito che sta alla base della mancata maturazione ideologica del M5S: il quale infatti è fermo ai vecchi cavalli di battaglia del tutto fuorvianti. Vediamone alcuni
Chiarezza e coraggio nei contenuti potrebbero costare qualcosa nel breve periodo: ma oggi la vera rivoluzione si fa sforzandosi semplicemente di dire la verità. E non occorrerà molto tempo per raccoglierne i frutti.
Per ora, se il M5S non riesce a costruire il rinnovamento e il PDL non è in grado di rievocare gli antichi fasti, all’elettore non rimane che il PD per dare ancora un senso alla fatica di trascinarsi fino alle urne: se non altro, il continuo richiamo alla “responsabilità” serve a dare un perché a questo governo e a questi sacrifici. Ma non può durare: che siano due mesi o due anni, la svolta arriverà. E allora si scoprirà chi oggi sta mentendo.
Andrea Giannini