Che cosa significa doublespeak? E' il linguaggio che non dice nulla, discorsi senza capo né coda molto utili per confondere e disorientare l'interlocutore. Il doublespeak è utilizzato dai politici di ogni stato e nazionalità
C’è un concetto connesso a quello del politically correct che abbiamo introdotto la scorsa settimana: si chiama doublespeak. Se il politicamente corretto cerca in qualche modo di camuffare o attenuare l’isolamento e l’emarginazione di determinati gruppi trovando delle alternative bizzarre (folically challenged anziché bald, “calvo”) e un po’ improbabili, il doublespeak si configura invece come “linguaggio che non dice nulla”.
L’origine del termine proviene dal romanzo 1984 di George Orwell, che presenta un modello distopico – l’opposto di utopico – di società, in cui le persone vivono sotto un tiranno, il Grande Fratello o Big Brother, all’interno di un regime totalitario che riforma il linguaggio creando il Newspeak, una nuova lingua più povera di parole, allo scopo di limitare la libera espressione e il libero pensiero e di rafforzare il controllo dello Stato sui singoli individui. Associato al Newspeak è il concetto del Doublethink, l’accettazione simultanea di due idee contrastanti: da qui il nuovo termine doublespeak.
Sebbene probabilmente non fosse a conoscenza del termine, un grande maestro di doublespeak fu Arnaldo Forlani, vecchio leader DC passato alla storia per essere stato un esponente di spicco dell’ex maggiore partito italiano – forse non così ex, leggendo la storia di chi, mano nella mano, è alla presidenza e vicepresidenza dell’attuale governo – e anche per aver balbettato con tanto di bava alla bocca delle risposte confuse durante una testimonianza in tribunale in piena Tangentopoli. Durante un’intervista a un periodico, Forlani affermò: “Parlo senza dir niente? Potrei farlo per ore.”
Proprio nel parlare a vuoto, nel “fingere di comunicare e far sembrare buono ciò che è cattivo, positivo ciò che è negativo, attraente o almeno tollerabile ciò che è spiacevole,” come afferma il linguista americano William Lutz, si trova l’essenza del doublespeak. Per chiarire ulteriormente il concetto, porterò un altro luminoso esempio dal film Full Metal Jacket, capolavoro di Stanley Kubrick sulla guerra in Vietnam. Il protagonista del film, il marine Joker, si trova in una base americana come corrispondente per la rivista Stars and Stripes, molto vicina alle forze armate e al Ministero della Difesa. In una scena, il caporedattore, anch’egli un soldato americano, redarguisce i giornalisti sulla terminologia da usare nella descrizione delle operazioni militari statunitensi. Per esempio, tra i diversi “taglia, sostituisci e cuci,” ordina di rimpiazzare la formula search and destroy – “perquisire e distruggere” – con sweep and clean – “spazzare e pulire”… In effetti la formula assume così un suono più ascoltabile da parte del pubblico.
Analogamente, per lungo tempo si è parlato di clean bombs, le “bombe pulite”, riguardo agli ordigni termonucleari o di smart bombs, le famose “bombe intelligenti”.
Senza scomodare gli USA, troviamo bastimenti carichi di doublespeak anche a casa nostra: pensate all’uso proditorio delle parole di origine straniera in italiano per confondere le persone che hanno scarsa padronanza dell’inglese o di altre lingue. I tagli selvaggi sono ora chiamati spending review, i licenziamenti diventano downsizing, la gara per assegnare le frequenze si trasforma in beauty contest. Se si usa la terminologia inglese quante persone riescono a capire? Un ottimistico 20%? Ma non è compito di media e politica parlare in modo chiaro e trasparente a tutti?
Tornando all’argomento di questo articolo, un paio di mesi fa mi colpì una frase proprio di Letta che, rivolto all’opposizione, la esortava a non rimanere in disparte e a “mescolarsi”. La “mescolanza” intesa dal buon vecchio compagno di partito di Forlani nel senso di “massa informe”, nella quale tutto diventa uguale, nella quale non esistono più le divergenze di opinione e tutti hanno ragione e torto allo stesso tempo, mi ha subito richiamato alla mente il doublespeak, anche se made in Italy… anzi, de’ noantri! See you!
Daniele Canepa