Siamo alla resa dei conti tra i dirigenti PD, costretti dagli eventi ad una scelta radicale: o con Grillo per un nome davvero indipendente e autorevole come Rodotà o con Berlusconi per i suoi processi
Non si riesce davvero a sfuggire all’impressione che si voglia a tutti i costi delegittimare il M5S. Intendiamoci: non è che Grillo e i suoi siano esenti da critiche. Tutt’altro. Il problema è che, anche se la critica è sempre legittima, circostanze e toni sono piuttosto sospetti. Ad esempio, sul Corriere della Sera il professor Sartori spiega bene perché la Costituzione liberi i parlamentari dal vincolo di mandato: essenzialmente perché devono rappresentare il popolo, non il partito che li ha catapultati in Parlamento. Giusta quindi la critica tanto alla sparata di Grillo di qualche tempo fa, quanto, più in generale, all’idea che i rappresentanti del popolo non debbano essere dei mediatori, ma dei meri portavoce teleguidati dal web (come anche io avevo scritto mesi fa).
Però il professore va ben oltre: «non riesco a capire» – conclude – «come la nostra Corte costituzionale non abbia sinora veduto una così macroscopica violazione costituzionale». Il M5S sarebbe (testualmente) una «organizzazione incostituzionale» perché il suo leader ha detto che vorrebbe cambiare la Costituzione in modo da poter dettare la linea politica agli eletti del suo partito. Quella di Sartori è una valutazione davvero assurda e ipocrita. E’ assurda perché la Corte costituzionale non si occupa di censurare parole e opinioni discutibili, a maggior ragione se arrivano da un privato cittadino quale Grillo tutto sommato rimane. E’ ipocrita perché, quanto ai fatti, non mi pare che il M5S si sia particolarmente distinto per tutto questo intruppamento “eversivo” cui sembra alludere Sartori: anzi, è vero il contrario, dato che alla prima occasione si è subito spaccato, non diversamente da quello che può accadere a qualsiasi altro partito. Ma l’ipocrisia dipende soprattutto dal fatto che il vincolo di mandato, per quanto a me possa dispiacere e benché il professore paia non essersene accorto, è già una realtà: lo ha reso un’arte quasi sublime Berlusconi, quando ha chiesto e ottenuto che trecento parlamentari votassero la presunzione di parentela tra Ruby Rubacuori e l’ex-presidente dell’Egitto Mubarak; lo ha reso sistemico la “peggiocrazia”, ovvero una classe politica reclutata appositamente per le sue caratteristiche di debolezza e ricattabilità, e quindi docile ai voleri di un ristretto gruppo dirigente, che è il vero decisore; infine lo presuppongono implicitamente anche i continui richiami alla responsabilità, al voto utile e alla condivisione, che provengono spesso e volentieri proprio dal giornale dove Sartori scrive.
La coperta, infatti, è corta: se i parlamentari votano secondo coscienza, c’è anche il rischio che le minoranze possano ricattare le maggioranze oppure fare cadere i governi (dunque, addio responsabilità); ma se bisogna essere responsabili e sostenere i governi, allora i parlamentari devono inevitabilmente sacrificare un po’ di autonomia di pensiero. Strano che a un fine politologo come Sartori sfugga questa banalità. (Abbiamo dovuto aspettare un economista, Claudio Borghi Aquilini, per sentir dire finalmente : «il voto responsabile non esiste: se si votano delle cose sbagliate, il voto è irresponsabile»).
Strano che dopo vent’anni che i partiti fanno strame della carta costituzionale, improvvisamente, per una sparata tanto sbagliata quanto inoffensiva, Sartori si sia messo a strillare “Accorruomo!” e “Gendarmi!”. Strano che non si marchi mai la differenza che c’è tra i progetti piduisti ed eversori che dichiaratamente costituiscono il nucleo ideologico di molti reputatissimi politici e le parole sconclusionate di Grillo; quasi che le due cose possano essere messe sullo stesso piano.
In realtà, fino a prova contraria, pare che dietro a Grillo e Casaleggio ci siano solo loro stessi: per cui, turpiloquio a parte, se nel tentare di proporre soluzioni nuove il comico e il suo guru peccano di “giovanilismo”, non si vede per quale motivo gridare al colpo di Stato. Al contrario sembra che, almeno per il momento, il M5S sia interessato a rappresentare esigenze di coerenza e reale democratizzazione del paese; esigenze peraltro abbastanza genuine, anche se magari grossolane, imprecise e a volte totalmente mal direzionate.
Piuttosto, se Grillo ha costruito un grande consenso sul rifiuto del compromesso (che pure è un ingrediente essenziale della politica) e una trasparenza talebana, ciò non dipenderà forse dal fatto che per anni la parola “compromesso” è stata usata come scusa per i peggiori inciuci e le più volgari trattative? Se non si fanno queste contestualizzazioni, è facile allora cadere nel sospetto che si avanzi una critica legittima solo per farne poi un uso pretestuoso. E’ difficile dire, per fare un altro esempio, che Lilli Gruber stia esercitando solo un libero diritto di critica quando invita nel suo salotto televisivo tre esponenti dell’opinione pubblica che sparano a zero sul M5S, mentre lei, commentando la candidatura di Milena Gabanelli, tra vari aggrottamenti di sopracciglia si chiede: «Sarà una trappola?».
Ognuno è libero di dire quello vuole: ma resta il fatto che sono vent’anni che il centro-sinistra puntualmente si fa fregare da Berlusconi; esattamente nello stesso momento in cui la Gruber va in onda, Bersani è ancora lì, fedele alla tradizione, che si affanna alla ricerca del compromesso col Cavaliere; e quando arriva Grillo a proporre l’icona par excellence del presepio delle belle statuine di sinistra, una che fa molto “Raitre”, ma anche una persona onesta, seria, proveniente (finalmente) dalla società civile e per giunta (finalmente) donna, la Gruber, che il giorno prima se la prendeva financo con Napolitano per la mancanza di presenze femminili tra i dieci saggi (quale sanguinosa perdita per le discendenti di Eva!), invece di rallegrarsi improvvisamente si scopre preoccupata che l’offerta possa nascondere una non meglio imprecisata “trappola”.
E’ dunque quantomeno lecito chiedersi se non esista verso Grillo una diffusa diffidenza da parte dell’opinione pubblica, alimentata dal rifiuto del M5S ad omologarsi.
In ogni caso, se mai ci sono stati, questi giochi sono destinati ad arrestarsi. La Gabanelli si è tirata indietro e ora il candidato del M5S è Rodotà (un nome che io stesso avevo fatto nell’immediato dopo-elezioni): a questo punto cade anche l’ultima foglia di fico di una laureata al DAMS che non viene dal mondo delle istituzioni e non si potrà più speculare sullo “sfascismo” di Grillo. Tant’è che, in un clima da “notte dei lunghi coltelli”, si prepara la resa dei conti tra i dirigenti PD, costretti dagli eventi ad una scelta radicale: o con Grillo per un nome davvero indipendente e autorevole, o con Berlusconi per i suoi processi.
Andrea Giannini