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Exploit del Movimento 5 Stelle a parte, c'è poco da commentare su queste amministrative, basti pensare che il partito delle "schede nulle" ha totalizzato a Genova quasi il 5% dei voti
Detto, fatto: il Movimento 5 Stelle ha fatto l’exploit ed è la notizia del giorno. Il risultato di Putti a Genova (così come degli altri candidati “grillini” in giro per l’Italia) appare straordinario solo per chi non si era accorto che le cose stavano cambiando già da un pezzo, che le simpatie per il partito di Grillo aumentavano giorno dopo giorno.
Immediatamente il Corriere della Sera ha lanciato in prima pagina un editoriale di Massimo Franco che definisce il risultato ottenuto dal Movimento 5 Stelle “il contenitore di un «no» che prescinde dagli schieramenti e rispecchia confusamente, a volte con parole d’ordine irresponsabili, la voglia di spazzare via un sistema incapace di riformarsi”. Siamo alle solite: Grillo è un facinoroso, magari un eversivo; e poi è uno che non ha nulla da proporre, se non un cieco rifiuto di tutto quello che offre oggi il pur magro panorama politico.
Eppure ricordo che una volta Ferruccio De Bortoli, l’attuale direttore del Corriere, fece mea culpa invitando i colleghi a riflettere sul modo in cui la stampa italiana aveva sostanzialmente ignorato ed irriso la Lega Nord per lungo tempo, salvo poi dover ammettere, dopo gli ottimi esiti elettorali del partito di Bossi, che questi aveva dimostrato abilità nel ricavarsi un consenso. Bisogna concludere, quindi, che la lezione non è stata messa a frutto ancora una volta.
Dopo questa tornata elettorale la Lega si conferma in disfacimento, mentre il M5S va inevitabilmente a rubarle la scena. Ma la società italiana, o almeno la sua parte conservatrice e borghese, sembra ancora troppo lenta nel cogliere i mutamenti sociali. Lo stesso Napolitano non ha risparmiato sul buon risultato del movimento di Grillo un’acida battuta: “Di boom ricordo quello degli anni ’60: altri non ne vedo”. Una dichiarazione sapida che tradisce un’antipatia personale magari giustificata (Grillo ha più volte attaccato Napolitano definendolo “Morfeo”), ma istituzionalmente fuori luogo.
Ed è già la seconda volta: in precedenza aveva dato a Grillo del “demagogo”, anche se non lo aveva nominato direttamente. Ormai è palese che il Presidente della Repubblica osteggi non una dichiarazione, un’iniziativa legislativa o un aspetto in particolare della politica di un partito, ma proprio tutto un movimento in quanto tale. Si potrebbe forse dire, allora, che non dovrebbe avventurarsi in simili giudizi, per quanto velati, perché il suo è un ruolo istituzionale formalmente super partes. La scusa che Napolitano e altri possano ravvedere un rischio nel linguaggio e nei toni usati da Grillo fa davvero sorridere.
Intendiamoci: nemmeno io mi auguro che i politici imparino a confrontarsi con “vaffa” e provocazioni. Ma ho già scritto che Grillo si prende questa libertà perché resta un comico e che i ragazzi del suo movimento, al contrario, non si permettono toni così “diretti”: pertanto il rischio che la moda si diffonda rimane circoscritto. Al contrario sono reali i mille e mille scandali che stanno seppellendo questa classe politica “moderata” e lanciando Grillo e che Napolitano è riuscito spesso ad ignorare. E’ assurdo, quindi, che si schieri nettamente contro il comico genovese per ragioni di bon ton: a maggior ragione se questo giudizio viene da uno che nel ’56, quando i Sovietici reprimevano la rivolta in Ungheria con i carri armati, riuscì a dire che i Russi stavano “portando la pace”. Direi che per la democrazia e le istituzioni è più pericoloso giustificare l’uso della violenza che dire le parolacce e fare battutacce.
Comunque, a parte Grillo e “grillini” (che ora vedremo all’opera nei consigli e potremo così giudicare in concreto se sono davvero bravi o meno), rimane ben poco da commentare a proposito di queste amministrative. L’astensione è in costante aumento: ma su questo nessuno nutriva dubbi. Poi c’è il fenomeno delle schede nulle, un partito che ha totalizzato a Genova quasi il 5% dei voti. Insulti e disegni sconci fanno la gran parte di questa cifra, ma non bisogna dimenticare un meccanismo di voto cervellotico che tra comune, municipio, sindaco, preferenze e voti disgiunti ha mandato in crisi gli stessi scrutatori. Se esprimere un voto è più difficile che fare la dichiarazione dei redditi, non ci si può poi lamentare se la gente sta a casa persino nelle brutte giornate.
Cos’altro? Ah, si! Il PDL e il PD, i due “partiti maggiori”. Ecco, se il primo ormai sta scomparendo dalla scena politica italiana, il secondo farebbe meglio a non cantare vittoria (come prontamente ha fatto D’Alema): un conto è contribuire alla vittoria di candidati esterni come Pisapia a Milano e Doria a Genova, un altro conto è convincere la gente a votare Bersani premier…
Andrea Giannini
Commento su “Elezioni, il giorno dopo: Grillo ride, Napolitano un po’ meno”