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Elezioni politiche 2013: la fine della seconda Repubblica?

Il quadro che emerge da queste elezioni è una rivoluzione enorme nell'assetto politico del nostro paese e la probabile fine della seconda repubblica: alle elezioni nazionali del 2013 ci sarà da divertirsi


24 Maggio 2012Rubriche > "Polis" Critica Politica

Pier Luigi BersaniIl notista politico che cerca di interpretare il voto popolare è destinato immancabilmente a parlare di cose che non sa. Come si può sapere, infatti, quale ragionamento stia dietro al voto espresso da migliaia o milioni di teste pensanti differenti? Di solito ci si basa sulla sensibilità, sull’intuizione e sull’esperienza personale: tutte facoltà, per l’appunto, limitate ed ingannevoli. E che spesso inducono anche gli osservatori più attenti a considerare le cose non per quello che sono, ma per quello che vorrebbero che fossero.

Per questo, nel tentativo di rappresentare il quadro che sembra emergere da quest’ultima tornata elettorale, bisogna procedere con i piedi di piombo e partire dai dati di fatto. E il dato di fatto più evidente è l’astensione; che era già a livelli record nel primo turno del 6/7 maggio, ma che è schizzata ancora più in alto nel secondo turno dei ballottaggi. Il nuovo sindaco Marco Doria, ad esempio, ha vinto ottenendo la preferenza del 60 % dei votanti effettivi, che però in termini assoluti, a causa dell’astensione, si traduce in un avente diritto su cinque. Insomma, il “marchese rosso” si troverà nella non facile condizione di dover amministrare una città in cui l’80% dei cittadini o non lo ha votato oppure non gli ha proprio prestato attenzione.

Questo forte astensionismo inoltre certifica la disaffezione della gente dalla classe politica, anche se a questo non esiste una spiegazione semplice, come potrebbe sembrare. Ci sono ragioni storiche profonde, come il rallentato processo di democratizzazione in un paese dove il potere ruota ancora attorno a notabili e signorotti, o la fine delle ideologie del ‘900. E ci sono ragioni contingenti, come gli scandali, la corruzione e l’arricchimento privato dei rappresentanti del popolo o la crisi economica (rispetto alla quale i politici sono in parte colpevoli e in parte capro espiatorio – in entrambi i casi non la scampano…).

In ogni caso è difficile attribuire un peso specifico a ciascuno di questi fattori: di solito in questi casi viene comodo dire che c’è un “mix” di spiegazioni diverse. Comunque sia, lo scollamento tra politico e cittadino è incontrovertibile ed è confermato anche dalle scelte degli elettori “sopravvissuti”, che tendono a premiare ovunque i candidati percepiti come “outsider”. Dopo Milano e Napoli la sagra continua. A Palermo vince Orlando (IDV), battendo rovinosamente il candidato ufficiale delle sinistre nel ventennale della morte di Falcone. A Genova Doria è sindaco dopo che alle primarie aveva già surclassato ben due primedonne del PD. A Parma Pizzarotti sconfigge clamorosamente il PD e certifica che il partito di Grillo ha ormai i numeri per ambire al Parlamento. Addirittura qualcuno accredita al Movimento 5 Stelle, che nella ultime settimane ha visto triplicare il proprio indice di gradimento nei sondaggi, un consenso superiore a quello accreditato al Popolo Delle Libertà.

E in effetti un altro verdetto importantissimo è stato il crollo del blocco di potere di destra formato da PDL e Lega. D’altra parte, con la crisi che stiamo vivendo e per il modo in cui è uscito di scena, squalificato dalle cancellerie di mezza Europa, sarebbe stata davvero una sorpresa clamorosa, se gli elettori non avessero punito il precedente governo, bevendosi la storia che la colpa sarebbe tutta dell’euro e di Prodi e Ciampi che nell’euro ci avevano portato. La Lega in particolare, distrutta dagli scandali, ha perso 7 ballottaggi su 7: nel partito di Bossi rimane ormai soltanto il sindaco di Verona Flavio Tosi, uno che non si era comprato una laurea in Albania, ma che aveva addirittura osato partecipare ai festeggiamenti per il 150° dell’unità d’Italia e che pare amministri bene la sua città.

Insomma: è chiaro a tutti che è in atto una rivoluzione enorme nell’assetto politico del nostro paese, che alle politiche nel 2013 ci sarà da divertirsi e che la seconda repubblica è probabilmente alla fine. Chiaro a tutti, meno che a uno: Pierluigi Bersani. Il cui partito, tutto sommato, aveva anche tenuto. Forse il fatto che le sinistre puntino molto su scuola e stato sociale è visto positivamente da un elettorato che teme Monti, la crisi e la ricette europee. Eppure sono bastati i commenti a caldo del segretario per far pensare che anche per il PD le ore siano ormai contate. Bersani infatti prima finge di non vedere il filo rosso che lega le elezioni comunali di Milano, Napoli, Genova, Parma e Palermo; poi sbandiera i numeri delle molte vittorie ottenute, tipo Budrio e Garbagnate, come se potessero controbilanciare la sconfitta di Palermo; e ancora, si fa sbeffeggiare da Grillo (e a dire il vero da tutta Italia) riuscendo a scolpire un capolavoro del rigiro e del contorsionismo semantico dicendo che a Parma il partito avrebbe non perso, bensì “non vinto”, trattandosi di un comune amministrato in precedenza dal centro-destra; e infine conclude serafico “senza se e senza ma” che il PD è  il “vincitore delle elezioni amministrative”. Come se ci fosse ancora un avversario. Come se ci fosse ancora Berlusconi. Come se ci fosse ancora il PDL o Forza Italia. Come se il mondo fosse ancora quello del 2006, con due poli aggregati, due programmi, i dibattiti televisivi tra i due candidati premier e poi magari l’immancabile “Porta a Porta”, con Vespa che assiste agli spogli in diretta mentre la grafica ripartisce rigorosamente i voti tra una casellina rossa e una casellina azzurra. Ecco: se Bersani e il PD non hanno capito che devono cambiare radicalmente assetto, generazione e logica e sanno rispondere solo “abbiamo vinto noi”, possiamo pure stare certi che dal prossimo anno avremo un grillino a Palazzo Chigi.

 

Andrea Giannini


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