Come se la cavano i politici italiani e gli allenatori di calcio italiani emigrati all'estero con la lingua inglese? Ecco alcuni esempi di strafalcioni che meritano bocciatura e buone prove che meritano la promozione
Siamo a giugno ed è tempo di pagelle ed esami di maturità. Come se la cavano le personalità italiane più influenti con la lingua inglese? Passerebbero l’anno? Giudicando dai casi che ho preso in esame, il livello di preparazione sembra alquanto carente.
Partiamo dal nostro ex massimo rappresentante, Silvio Berlusconi. La pronuncia alquanto singolare di United States (lui li chiama Iunai Steis) non è certo un buon biglietto da visita, ma Silvio prosegue imperterrito trasformando anche but in buzz e and in av … Se a queste sommiamo la sua idea che Google sia in realtà Gogol (chissà, forse è un involontario omaggio all’omonimo scrittore russo) possiamo desumere che quando parlava dell’importanza delle tre I (inglese, informatica, impresa) il Berlusca stesse pensando a se stesso e a un imminente ritorno tra i banchi di scuola, magari nella classe di Maristella, la compìta maestrina di campagna diventata Ministro della (D)Istruzione. Fail (“bocciato”).
Meglio non fa il fido scudiero Ignazio La Russa, il quale, durante una conferenza stampa internazionale, dopo aver lasciato gli ultimi rimasugli delle sue unghie sugli specchi, non è in grado di mettere insieme più di cinque parole inglesi e deve infine cedere la parola a un collaboratore. D’altra parte, da un uomo che ha battezzato i suoi figli con i nomi di Geronimo e Apache ci si poteva aspettare che si esprimesse nella lingua di Sitting Bull, “Toro Seduto”, e non in quella di Buffalo Bill e del Generale Custer. Bocciato in inglese, ma promosso in cultura Sioux.
Un po’ meglio, ma non troppo, se la cava Beppe Grillo, che in modo stentato riesce a comporre qualche frase di senso compiuto in un’intervista all’emittente CNBC. Rimandato.
Passano l’esame di inglese, invece, Mario Monti ed Enrico Letta. E’ evidente che chi si esercita costantemente in una lingua straniera raggiunge ottimi risultati. I due, frequentatori assidui del blindatissimo, inavvicinabile e ultra-elitario gruppo internazionale Bilderberg, mostrano una buona padronanza dell’inglese. Promossi.
Spostando l’attenzione all’ambito sportivo, per gli allenatori italiani sembra essere di moda – e di aiuto al portafogli – emigrare all’estero. E’ il caso del coach di basket Ettore Messina, entrato nello staff tecnico dei leggendari Los Angeles Lakers nel 2011-2012: il suo inglese è eccellente. Promosso.
Non benissimo, invece, fece Carlo Ancelotti qualche anno fa: alla prima conferenza stampa da manager del Chelsea Football Club esordì con un I’m joke (letteralmente: “Sono scherzo”), anziché I’m joking (“Sto scherzando”), che fece sorridere i giornalisti presenti. A onor del vero, da quella conferenza stampa il suo inglese è via via migliorato. Promosso.
In ultimo, non poteva mancare Giovanni Trapattoni. I suoi interventi in un italiano improbabile sono stati per anni fonte d’ispirazione per la trasmissione televisiva comica Mai Dire Gol. E’ stato però all’estero che l’allenatore milanese si è davvero scatenato; in Germania, al termine di una conferenza stampa passata alla storia, affermò: “Ich habe fertig,” che tradotto letteralmente dal tedesco significherebbe: “Io ho pronto” oppure “Io sono terminato”. In Irlanda, dove attualmente allena, si è distinto per la frase: “No say the cat is in the sac when you have not the cat in the sac.” Nell’ilarità generale, l’interprete è andata vicina allo svenimento … Come spiegare ai giornalisti: “Non dire gatto se non l’hai nel sacco?” Inutile sottolineare che pronunciata nel modo in cui è stata formulata da Trapattoni la frase non ha alcun senso. Tuttavia, i presenti sembravano aver compreso, forse grazie alla spontaneità del mitico Trap, a riprova del fatto che la comunicazione è fatta all’ottanta per cento di comunicazione non verbale. Promosso.
See you!
Daniele Canepa