Moneta unica e sovranità politica sono i due lati della stessa medaglia:se da un lato, infatti, la perdita del controllo sulla moneta ha ridotto fortemente il margine d'azione dei vecchi stati europei, dall'altro lato questo margine è destinato a ridursi ulteriormente attraverso un'esautorazione della sovranità nazionale. A questo disegno politico si può dire solo o sì o no
Lo spettacolo dei giornalisti impegnati a commentare la politica ignorando sistematicamente il ruolo centrale del tema dell’euro e quello dell’integrazione delle politiche comunitarie (il famoso «più Europa») è a tratti esilarante. Questa ostinata sottovalutazione, che consente di non sporcarsi troppo le mani con temi scomodi, restituisce naturalmente una visione della realtà distorta, in cui i conti non tornano mai: e l’effetto è equivalente a quello di un professore di storia che voglia trattare della Francia tra ‘700 e ‘800 limitandosi a riportare solo per dovere di cronaca alcune vittorie militari conseguite da un certo generale corso di bassa statura.
Rientra a pieno titolo in questa categoria l’analisi che fa Marco Travaglio. Il vicedirettore del Fatto Quotidiano, infatti, critica l’ipotesi di un’alleanza tra Grillo e Farage scrivendo in un editoriale del 31 maggio («Il Grillotalpa») che il programma del M5S non avrebbe “nemmeno una virgola in comune con quello dell’Ukip, che vuole cacciare dal Regno Unito tutti i cittadini nati altrove (Italia compresa). In compenso [ha] moltissimi punti in comune con i Verdi”. Il 3 giugno in un secondo editoriale («Il Grillotalpa-2 la vendetta») rincara la dose. Pur ammettendo che sì, “Farage è xenofobo […] ma non razzista“; che sì, è “vera la malafede dei doppiopesisti che guardano solo i compagni di strada imbarazzanti di Grillo e non quelli di Renzi“; ritorna però il fatto dei punti in comune tra Verdi e M5S. Un esempio? La riduzione delle spese militari, le fonti di energia alternative, il taglio alle pensioni d’oro, il reddito di cittadinanza e l’accoglienza verso gli immigrati. Secondo Travaglio questi sarebbero ottimi motivi per scartare l’ipotesi Nigel Farage e impegnarsi in un’alleanza con la giovane leader ambientalista Ska Keller.
E i temi europei? Scrive il fondatore del Fatto: “La battaglia dei 5Stelle per cambiare le regole dell’euro o uscirne non interessa nulla a Farage, che si tiene ben stretta la sua sterlina“. Problema chiuso. Ma davvero Farage non garantisce più affidabilità sul fronte euro-scettico di Ska Keller? Ovviamente non è così: e l’ingenuità di Travaglio in materia fa davvero sorridere – considerato anche che non si tratta di concetti complessi destinati a pochi iniziati con una laurea in economia e un dottorato ad Harvard, ma di un evidentissimo, macroscopico, gigantesco, enorme problema di sovranità; ossia, per definizione, la prima di tutte le questioni politiche. Il punto che sfugge a Travaglio è che il M5S è irrimediabilmente una forza anti-sistema: e oggi si può essere contro il sistema solo alleandosi con Farage; non con la Keller.
Intendiamoci: la creatura di Grillo si trova in una posizione decisamente scomoda. Dapprima ha fatto la solita campagna elettorale contro i vecchi partiti, rifiutando però di unirsi con Marine Le Pen e Matteo Salvini, evitando accuratamente di definire qualsiasi linea ideologica e glissando su ogni ipotesi di alleanza. Oggi, surclassato dal PD di Renzi, si ritrova tra le mani un manipolo di europarlamentari che, a causa delle particolari regole dell’europarlamento, per avere un minimo margine d’azione come minoranza deve per forza infilarsi in un qualche gruppo con altre forze politiche.
Le opzioni rimaste sono due: Verdi e UKIP. È ovvio che qualsiasi scelta comporterà fare degli scontenti e accentuerà quell’emorragia di voti già cominciata sull’onda psicologica della batosta elettorale (qui l’approfondimento). Per giunta, ha ragione Travaglio quando scrive che un’alleanza con Farage sarebbe ancora più difficile da giustificare per chi ha rifiutato ogni condivisione di responsabilità con Bersani e ogni dialogo con Renzi. Eppure, ciononostante, oggi l’unica scelta sensata per il M5S è allearsi con l’UKIP. Che piaccia o no, se la base dovesse costringere il fondatore a dire addio a Farage per mettersi con la Keller, il movimento nel complesso si condannerebbe all’irrilevanza politica.
Questa conclusione è fuori dalla portata di quelli come Travaglio, che commettono l’errore macroscopico di trattare il tema di una possibile uscita dall’euro (se va bene) come se si trattasse di un punto qualsiasi su un programma, un di più svincolato da ogni contesto; come se adottare l’una o l’altra moneta equivalesse a cambiarsi d’abito. Al contrario oggi è noto che la semplice adozione di una valuta comune europea ha reso il continente instabile, e che per stabilizzarlo occorre completare il processo d’integrazione politica: occorre cioè dare uno stato alla moneta. In altre parole, siamo di fronte al mantra del «più Europa», eletto a slogan da quelli del Partito Democratico (“sono stati fatti degli errori, ma oggi si può rimediare solo con più integrazione, non tornando indietro”).
Dunque moneta unica e sovranità politica sono i due lati della stessa medaglia: e i risultati di questa strategia sono già evidenti. Se da un lato, infatti, la perdita del controllo sulla moneta ha ridotto fortemente il margine d’azione dei vecchi stati europei, dall’altro lato questo margine è destinato a ridursi ulteriormente attraverso un’esautorazione della sovranità nazionale che vada a beneficio delle istituzioni comunitarie. Che ci fosse questo prezzo da pagare, d’altra parte, non è un segreto per nessuno. Lo hanno detto tutti gli architetti del progetto europeo, tutti i cosiddetti “padri nobili”. Basti citare a titolo d’esempio le famose parole di Mario Monti: «I passi avanti dell’Europa sono per definizione “cessioni” di parti di sovranità nazionali a un livello comunitario».
Insomma, inutile girarci intorno: tutti i protagonisti confermano che, se questo processo andrà a compimento, l’Italia smetterà di essere una nazione sovrana. Il destino che le spetta sarà quello di diventare come il Kansas, l’Aquitania o la Liguria: una parte ad autonomia limitata di un’entità sovrana gerarchicamente preminente.
A questo disegno politico si può dire solo o sì o no. Non ci si può prendere il lusso di fare le demi-vierges. Non ci può essere una capitale a Roma e una a Bruxelles. O siamo per gli Stati Uniti d’Europa o per un’Italia sovrana e indipendente. Non c’è una terza opzione (se non lasciare le cose come stanno, nell’attesa che l’euro si distrugga da solo). Chi s’illude di battagliare per un’Europa che rispetti certe condizioni sociali (come i Verdi o Tsipras) di fatto avvalla il processo d’integrazione: e dunque si condanna ad un ruolo subalterno rispetto ai partiti maggiori, con percentuali di gradimento da prefisso telefonico. Allo stesso modo una corretta analisi del voto di maggio conferma che il consenso si sta polarizzando tra chi vuole l’integrazione europea e chi la critica nel nome della difesa di interessi locali o nazionali.
Mentre dunque Lega Nord, Front National e UKIP hanno imparato la lezione e si oppongono decisamente all’integrazione europea in nome delle loro (diverse) sensibilità nazionali, il M5S invece continua a cincischiare senza prendere posizione. Eppure non c’è alcun dubbio che il grande risultato delle politiche del 2012 sia dovuto al fatto di aver incarnato l’opposizione alle larghe intese di PDL e “PD-meno-elle”, i quali invece avevano sostenuto Monti e la sua agenda di austerità voluta dall’Europa. E Grillo non è così stupido da non capire che il M5S ha senso solo se si ricava uno spazio come forza alternativa. Per cui, se c’è una cosa che davvero non può permettersi in questo momento, è quella di confondersi con le forze del “più Europa”.
Travaglio ignora quello che Grillo ha capito: ossia che se il M5S si schiera con i Verdi, perderà qualsiasi cosa accada. Se infatti l’Europa superasse la crisi, i veri vincitori sarebbero i partiti di maggioranza del PPE e PSE (in Italia, il Partito Democratico); mentre se la crisi dell’euro deflagrasse, Grillo non potrebbe raccoglierne i frutti, perché verrebbe facilmente definito “collaborazionista” dalle forze realmente critiche, come la Lega Nord. Ecco perché il comico ha pubblicato sul suo blog il video di Nigel Farage che attacca i burocrati europei: perché ha un disperato bisogno di accreditare il suo M5S come la forza italiana davvero critica verso l’Europa.
Come potrebbe al contrario schierarsi con la tedesca Ska Keller, dopo che questa ha esplicitamente dichiarato in prima serata: «Se la Germania lasciasse l’euro, perderemmo moltissimi posti di lavoro nel settore delle esportazioni, perché nessuno comprerebbe più i carissimi prodotti tedeschi»? Come potrebbe il M5S essere considerato una forza di opposizione credibile al rigore tedesco? È chiaro che per fare l’amico della Merkel c’è già Renzi: ed è anche molto più bravo.
Dunque, a fronte di un fatto così rilevante da un punto di vista elettorale, politico e storico, importa poco quello che Nigel Farage vuole fare a casa sua; se vuole alimentare le sue fabbriche a carbone o a energia solare; se vuole regolare gli accessi di immigrati o liberalizzarli. È evidente che per andare tutti nello stesso posto dobbiamo necessariamente essere d’accordo, ma per tornare a casa propria basta deciderlo: poi ognuno potrà seguire la strada che preferisce.
Andrea Giannini
Bell’articolo, e sono fondamentalmente d’accordo. Non su quello che dovrebbe però fare grillo. Il problema per Grillo è che Farage ha una chiara idea politica/economica, il M5S no. Per loro stessa definizione sono “ne di destra ne di sinistra” (che sono morte). Questo è il peccato originale del M5S che sta venendo finalmente fuori. D’altra parte, all’inizio, aveva funzionato bene perchè il movimento grillino aveva la funzione di recuperare gli scontenti e gli scontenti erano, appunto di destra e di sinistra. Se si fa una scelta di campo si perde, inevitabilmente, una parte dell’elettorato. Ma non si può continuare a citare Berlinguer ed allearsi con Farage perchè i due non avrebbero preso neanche un caffe insieme, visto che rappresentano politicamente gli estremi opposti. Personalmente credo che l’unica cosa che possa fare il M5S sia semplicemente non allearsi con nessuno. Non conteranno niente in UE, ma non è un problema. Se la situazione continuasse a peggiorare questo non può essere un limite per le elezioni italiane. Gli italiani non hanno capito le ragioni della crisi e, fondalmentalmente sono pro euro. Se le cose rimangono così alle prossime elezioni faranno nuovamente sentire il loro “basta questo sistema” (cosa sia poi non lo ha capito nessuno, ma non importa) votando Grillo (piuttosto che la lega). Anche Renzi avrà esaurito il suo credito di “uomo nuovo”. A meno che grillo non diventi un partito di destra o di sinistra. In quel caso allora gli elettori andrebbero a votare la destra o la sinistra “l’originale”.