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Ad un anno dal disastro, la bonifica del territorio sconvolto dallo sversamento di greggio appare ancora distante. Le Istituzioni si sono dimostrate deboli nel proteggere le persone. E il futuro potrebbe essere ancora all’insegna del rischio.
Il 17 aprile 2016, esattamente un anno fa, una delle tubature dell’oleodotto Iplom che collega i depositi di Fegino con la raffineria di Busalla si rompeva, sversando centinaia di migliaia di litri di greggio nei rio Pianego. Un disastro ambientale che ha “travolto” gli abitanti della delegazione della Val Polcevera, che da decenni convivo con il “rischio” di un incidente “rilevante”: un rischio divenuto realtà.
Il primo anniversario cade nel giorno di Pasquetta, ricorrenza festosa, durante la quale, per tradizione, la comunità popolare si riversa su prati e colline, per godere del sole primaverile e della natura. Una coincidenza che impone una riflessione su quanto è stato fatto per arginare il disastro di Fegino, e quanto si sta facendo per evitarne di nuovi.
Era Superba sta documentando la lenta opera di bonifica ambientale, ad oggi ancora al palo. Come abbiamo visto, infatti, dopo una prima fase emergenziale sono state eseguite delle perizie per quantificare il danno e misurare le necessità dell’intervento; il famoso Piano di Caratterizzazione. La prima versione di questo documento, presentata ad agosto, però non ha chiarito alcuni aspetti, per cui l’amministrazione comunale ha richiesto delle integrazioni. Qui è nata una querelle squisitamente burocratica che ha visto rimbalzare la palla tra Genova e Roma, per determinare chi avesse l’ultima parola sulla questione. Dopo nove mesi è stato stabilito che la regia dei lavori doveva rimanere a Genova, è solo a marzo Comune, Regione e Arpal si sono riuniti per “deliberare” ulteriori prescrizioni da consegnare all’azienda, per avviare la bonifica. Il tutto, ovviamente, stando nei termini di legge. Dodici mesi, però, in cui centinaia di persone sono rimaste esposte alle esalazioni chimiche, solo perché lì vivono e lì lavorano. Veramente la politica non poteva fare, o pretendere, di più?
Nelle ore successive al disastro Era Superba ha denunciato l’irregolarità dei Piani di Emergenza Esterna degli impianti industriali a rischio di incidente rilevante situati nell’area metropolitana genovese. Tra questi ricade anche il deposito di Fegino. In questi giorni la Prefettura è al lavoro per la redazione dei nuovi documenti, non senza qualche difficoltà. La normativa, però, esclude le tubature degli oleodotti da questa procedura, non vincolando queste invasive infrastrutture ad un protocollo di intervento emergenziale rafforzato. Il 14 marzo scorso il Consiglio comunale del Comune di Genova ha votato all’unanimità una impegnativa che da mandato alla amministrazione di “lavorare” affinché questa lacuna venga colmata. Una determinazione che rischia di rimanere lettera morta: la Prefettura, infatti, nel presentare la prima bozza del PEE dell’impianto di Fegino, pare non abbia tenuto conto di questa richiesta, attenendosi scrupolosamente alle prescrizioni di legge. Oggi, quindi, i territori attraversati da oleodotti sono esposti al medesimo rischio di un anno fa. Siamo sicuri che non si può fare di più? Le Istituzioni davvero non possono agire in maniera migliorativa rispetto alle leggi?
In tutto questo, nel mezzo di questo mare di codici e cavilli, ci stanno le persone, la cui tutela dovrebbe essere uno degli scopi ultimi di normative, politica e istituzioni. Nel caso di Fegino, i cittadini si sono organizzati, e dopo un anno di “battaglie” continuano a monitorare e ad aggiornare la loro mobilitazione e le loro iniziative, anche legali. Nella loro lettera aperta, scritta in occasione del “primo” anniversario del disastro e che pubblichiamo integralmente, oltre alla rabbia per una emergenza che sembra non finire, si legge la speranza che qualcosa possa ancora cambiare: chi ha orecchie per intendere…
TRISTE ANNIVERSARIO 17 APRILE 2016 – 17 APRILE 2017
Lo avevamo definito “Atto finale” quello che intorno alle 19.30 del 17 aprile 2016 ha riversato nel rio Pianego, rio Fegino, torrente Polcevera e infine in mare , oltre 600 mila litri di petrolio fuoriuscito a seguito della rottura della tubatura di IPLOM spa che, dal Porto Petroli di Multedo , trasporta il greggio verso la raffineria di Busalla .
Il 17 aprile 2016 , per ironia della sorte , era il giorno del referendum sulle trivelle , andato vano per il mancato raggiungimento del quorum , una scelta che avrebbe potuto determinare la volontà dei cittadini ad iniziare un percorso di cambiamento verso fonti energetiche alternative e meno inquinanti.
Così non è stato per molte ragioni, la più importante e decisiva la scelta del governo di non accorpare il referendum alla tornata delle elezioni.
A Fegino ci siamo ritrovati in un incubo, una marea nera scorreva nei rivi ed ha segnato nel profondo anche le nostre vite.
Come cittadini ci siamo visti catapultare in un mondo di burocrazia, interessi economici contrapposti ma comunque opposti al nostro diritto alla salute e sicurezza, difficoltà ad avere momenti di vera partecipazione, in cui le nostre richieste venissero ascoltate ed accolte .
Per mesi a contatto con le esalazioni degli idrocarburi, che vediamo riaffiorare ad ogni pioggia, con la preoccupazione per i danni che, nel tempo, potremmo dover contare per essere stati esposti a tali esalazioni.
E, dopo un anno, manifestazioni, presidi, commissioni, interrogazioni, mozioni, tavoli tecnici, un tentativo di allontanare dal controllo dell’amministrazione locale la regia delle operazioni di bonifica sperando magari di non doverla fare , la bonifica non è ancora iniziata .
E’ stata aperta la conferenza dei servizi, della quale per altro non abbiamo ancora avuto relazioni ed i tempi continuano ad allungarsi e aumenta la preoccupazione.
Avremmo pensato che quanto accaduto, potesse essere motivo di riflessione sulla normativa a livello nazionale che, evidentemente, ha ancora notevoli lacune perchè possa essere efficace per la tutela della salute e della sicurezza delle persone .
Avremmo pensato che le persone dovessero venire prima dell’appellarsi al rispetto delle normative e ai limiti di legge, prima di numeri e tabelle, perché nessuno dovrebbe essere costretto a subire percentuali di rischio per la propria salute, sicurezza, per la tutela del territorio, a vantaggio del profitto di pochi.
Noi però continueremo a lottare, nonostante la stanchezza, nonostante i tentativi di dipingerci allarmisti, autosuggestionabili e forse anche un po’ fastidiosi, perché il faro che ci guida è la volontà di far rispettare i nostri diritti di persone che amano e vivono il proprio quartiere e che, qui, vogliono continuare a vivere, in salute , in sicurezza e nel rispetto di ambiente e territorio.
Comitato spontaneo cittadini Borzoli e Fegino.
Nicola Giordanella