add_action('wp_head', function(){echo '';}, 1);
Un mini-saggio a puntate. Gianni Martini ripercorre le tappe significative della storia italiana dagli anni 60 a oggi indagando sul concetto di musica "nuova"
Partendo dalla constatazione che negli ultimi 15 anni (almeno) raramente sarà capitato di ascoltare una produzione musicale realmente “nuova”, diversa dal solito, ho avviato una riflessione sul significato della parola “nuovo/novità”.
Certamente anche oggi, all’interno delle varie arie espressive, c’è chi sta conducendo una ricerca innovativa, magari in contrapposizione ai linguaggi correnti. Nonostante tutto – appunto – non sono sufficienti l’estro e la volontà individuali per arrivare ad essere una “novità”, nel senso epocalmente rappresentativo, che ho cercato di descrivere. Ciascuno di noi è sempre “storicamente situato”, come dire… si vive nella storia.
E allora, si tratta di saper interpretare la voglia di cambiamento, l’avvicinarsi del momento di rottura, momento in cui la storia stessa sembrerebbe poter compiere un balzo (…eviterei, prudentemente di indicare “direzioni”…). Ecco, quando l’intuizione creativa riesce a captare gli umori profondi, spesso il malessere di una o più generazioni; quando l’estro riesce ad incanalare l’energia che gira nell’aria, prodotta dai movimenti sociali, diventando la bocca che dà voce all’urlo delle generazioni che cercano/vogliono il cambiamento, allora dal palco della quotidianità e della storia nascono le figure effettivamente rappresentative.
Inutile dire che tutto ciò è molto difficile, proprio perché – ripeto – bravura e volontà individuali non sono sufficienti. A volte ciò che successivamente diventerà rappresentativo (il “nuovo”), vive per anni in maniera sotterranea, in piccoli ambienti ma, se ciò che sta esprimendo risulta condiviso/vissuto/sentito/partecipato/sognato, allora questo fermento cresce, dilaga, diventa contagioso, travalica i confini nazionali. Non servono muri, repressioni, scomuniche, filo spinato: è già oltre.
Altri inizieranno a scrivere canzoni, dipingere, comporre musica, testi teatrali, poesie e manifesti filosofici. Coloro che sanno ascoltare/vedere/sentire ne percepiranno il movimento sotterraneo (…negli anni ‘60 non si parlava infatti di “movimento underground”?)
Parente della talpa marxiana, questa ha connotazioni più esistenziali, è più anarcoide; la sua stessa esistenza è diretta testimonianza del suo disagio quotidiano, e al tempo stesso del suo amore per gli slanci di libertà: niente maschere, solo intenzioni scolpite sui volti, sorrisi e rabbia senza mediazioni. E dire che, spesso, è proprio questa talpa esistenzial-estetica a preparare il terreno all’altra, si… quella “politica”e rivoluzionaria, eterna “apprendista streg(one)a” delle teorie dell’uomo “nuovo” (…toh la nostra parolina!) e degli “avvenire radiosi” che tanti danni ha fatto…
Ho citato prima il “movimento underground”, bene… prendiamo ad esempio proprio il periodo che va dal primo dopoguerra alla fine degli anni ‘70, come ricorderete la guerra si chiuse con il mondo diviso in due blocchi: da una parte il mondo “libero” ossia l’occidente (Giappone e Australia inclusi), dall’altro il cosiddetto “blocco comunista” su cui primeggiava l’ Unione Sovietica (il mondo islamico per quanto riguarda la geografia politica, in quegli anni, era praticamente assente, assorbito nelle “sfere d’influenza americana o sovietica”.
Continua….
Gianni Martini
2 commenti su “Il “nuovo” in musica, non bastano l’estro e la volontà individuale”