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Il governo Letta è un Monti-bis, siamo davanti a due anni di sciagure, ma ci viene detto che non c'è altra soluzione e che non bisogna disturbare l'esecutivo perché sarebbe «ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze»
Chi scrive – è noto – è un becero nazionalista che vorrebbe la fine dalla gloriosa moneta unica europea. Ed è pure un sordido complottista, convinto che stiamo facendo gli interessi del grande capitale finanziario e non quelli dei lavoratori. Mettiamo tra parentesi allora per una volta la crisi economica e l’Europa e dedichiamoci a quello di cui si occupano i giornali tutti giorni: vediamo se qui troviamo qualche giustificazione al governo Letta; se davvero i costi che l’alleanza destra-sinistra ci impone sono giustificati dai risultati che consegue.
Forse qualcuno obbietterà che è impossibile fare una valutazione dopo tre mesi appena: ma non è così. Innanzitutto il governo Letta di fatto è un Monti-bis: stesso indirizzo, stesse ricette, stessa maggioranza bipartisan, stesso alto patrocinio presidenziale. Dunque, in quest’ottica, non sono tre mesi, ma quasi due anni che si commettono gli stessi errori. Secondariamente, se davvero la direzione presa è sin da subito quella sbagliata, allora non ha molto senso aspettare che la legislatura faccia tutto il suo corso: perché dopo si potrà solo piangere sul latte versato.
Occorre dunque imprimersi bene in testa il dibattito in corso questa settimana: se non altro, quando un domani ci diranno che “occorreva provare”, che “non si poteva sapere”, che “sulla carta era la scelta più autorevole e credibile”, potremo allora ricordare quello che sta succedendo in questi giorni per obiettare che invece no: si vedeva e si sapeva benissimo.
Chi non muore si rivede. Qualcuno ricorderà infatti che il simpatico esponente leghista, noto alle cronache anche per gli improbabili falò di “leggi inutili”, si era già dimesso nel 2006 a causa della vicenda della t-shirt con vignette satiriche su Maometto.
In attesa di capire se Letta riuscirà a ottenere le sue dimissioni senza provocare la rivolta della Lega (che non è alleata di governo, ma ha sempre una certa influenza su Berlusconi), rimane da chiedersi: che governo è quello che porta uno così alla vicepresidenza del Senato? Ma lasciamo correre, per carità; non disturbiamo l’esecutivo: sarebbe una «ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze».
Dopo il caso Abu Omar, un’altra extraordinary rendition, con l’aggravante che non siamo di fronte agli interessi dei potentissimi Stati Uniti, ma al più dimesso regime kazako. Tutto il mondo si indigna, l’Italia si domanda come facesse il ministro dell’interno a non saperne niente e Alfano si giustifica professando eterna ignoranza: lui non è mai informato, lui non sa mai niente.
In attesa di capire se Letta pensa di fare qualcosa oppure se preferisce anche lui far finta di niente in nome delle larghe intese, rimane da chiedersi: un ministro che fa rapire una donna e una bambina perché non riesce a seguire o controllare i suoi sottoposti è uno scandalo sufficiente, o bisogna aspettare il razzismo, la pedofilia e la negazione dell’olocausto? Ma lasciamo correre, per carità; non disturbiamo l’esecutivo: sarebbe una «ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze».
La proposta è stata avanzata dal capogruppo al Senato Zanda (lo stesso che fino a qualche mese fa proclamava la necessità di votare l’ineleggibilità del Cavaliere) e da Massimo Mucchetti (lo stesso che fino a qualche mese fa era ancora un giornalista quasi intelligente). Per giustificare l’obbrobrio lo stesso Mucchetti spiega: “non si può votare l’ineleggibilità di Berlusconi, se no quello fa cadere il governo, riporta l’Italia alle elezioni, vince e poi cancella la legge sull’ineleggibilità”.
A parte la perfetta integrazione di Mucchetti nelle logica “vincente” del partito (difatti l’idea che, in caso di ritorno alle urne, il PD possa battere Berlusconi non lo sfiora neppure), il fine ragionamento è qualcosa di sublime: siccome Berlusconi un domani potrebbe fare in modo di non applicare una legge giusta, tanto vale risparmiargli la fatica e dargli noi stessi la possibilità di non applicarla. Meraviglioso!
In attesa di capire se Letta ha qualcosa da dire a proposito dell’ennesima legge ad personam oppure se preferisce far finta di niente in nome delle larghe intese, rimane da chiedersi: qualcuno avrà capito che il punto non è se una cosa la faccia il PD o Berlusconi, ma il fatto che quella cosa nel complesso sia dannosa per il paese? Ma lasciamo correre, per carità; non disturbiamo l’esecutivo: sarebbe una «ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze».
Si, è vero: non sono le spese militari che hanno mandato in rovina questo paese. E chissà, forse anche il ministro per la difesa Mario Mauro non ha tutti i torti quando, in risposta ai pacifisti, ricorda l’antico adagio latino: si vis pacem, para bellum, (se vuoi la pace, prepara la guerra). Ma a forza di ripetere “avete-vissuto-sopra-i-vostri-mezzi” poi la gente ci crede: e chi di disinformazione colpi di disinformazione perisce.
Ammesso e non concesso, infatti, che acquistare i famosi F35 sia indispensabile, resta il fatto che – se possibile – è ancora più indispensabile trovare la copertura finanziaria per gli esodati, rinvenire risorse per la scuola, investire sulla ricerca, eccetera eccetera. Cioè se la spesa pubblica è buona perché genera redditi, allora si può temporaneamente anche fare un po’ di debito per pagarsi un po’ di tutto (compresi gli armamenti); ma se la spesa pubblica è uno spreco e la coperta è corta, allora finisce che la gente contrappone tra loro le varie voci di spesa, e le esigenze militari giustamente soccombono a fronte di quelle del welfare.
Poi c’è un altro lievissimo dettaglio, un piccolissimo sospetto che aleggia su tutta la vicenda: il rischio tangenti. D’altra parte per vendere armi all’estero pagare una tangente è una necessità. Non lo dico io: lo disse Berlusconi, dopo che venne fuori che Finmeccanica pagava tangenti all’India per vendere i nostri elicotteri. Il Cavaliere però rassicurava: «da noi queste cose non succedono». Possono succedere invece «se si va trattare nei Paesi del terzo mondo o con qualche regime». Chissà se anche l’americana Lockheed Martin vede l’Italia come una potenza democratica di prim’ordine oppure come “un paese del terzo mondo”, un paese “con qualche regime”…
In attesa di capire se Letta ha intenzione di far luce sulla vicenda oppure se preferisce far finta di niente, alimentando il sospetto che dietro le larghe intese ci siano anche larghi e inconfessabili accordi, rimane da chiedersi: ha senso dimezzare i canadair per comprare gli F-35? Ma lasciamo correre, per carità; non disturbiamo l’esecutivo: sarebbe una «ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze».
PS.
Mentre in Italia Napolitano difendeva a spada tratta la necessità di preservare questo governo, dicendoci sostanzialmente che ci tocca trangugiare dichiarazioni razziste, rapimenti di donne e bambine in favore di dittatori asiatici, leggi ad personam e regali alle multinazionali americane che costruiscono armi, Letta è volato a Londra per parlare con la comunità finanziaria e fare la solita sceneggiata da piazzista: “venite in Italia”, “vi tratteremo bene”, “investite i vostri soldi qui”, eccetera eccetera. Il solito miraggio di qualche posto di lavoro per giustificare il fatto che ci sdraiamo a pelle di leopardo di fronte al mondo della finanza (avete presente la famigerata “speculazione finanziaria”? E’ proprio questa gente qua). E’ così che continuiamo a pagare un alto tasso di rendimento sui titoli di Stato e che il lavoro si fa sempre più precario per attirare le multinazionali: dal pacchetto Treu alla riforma Fornero il pluriennale obiettivo di abbattere le tutele per favorire il capitale sta quasi per arrivare a fondo.
PPS.
Alla fine la crisi economica ce l’ho infilata lo stesso. Ma d’altra parte c’era da aspettarselo: avevo ben specificato che sono un sordido complottista.
Andrea Giannini