Al Teatro della Corte, fino al 19 marzo "Il Gabbiano" di Anton Cechov: la leggerezza umana che trancia la qualità della vita
Un racconto di vite irrealizzate. La leggerezza umana, come può impunemente uccidere splendidi animali, così può tranciare la qualità della vita. Anton Cechov (Taganrog, Russia, 1860) fu medico, scrittore, drammaturgo. Spesso incompreso dai contemporanei, almeno nelle prime rappresentazioni sceniche, cercò l’ innovazione proponendo un teatro rivolto a privilegiare l’espressione di stati d’animo,emozioni, contraddizioni; sempre presente l’aspirazione alla realizzazione di una vita qualitativa, comune ad ogni essere umano.
L’azione è ristretta, accennata, desiderata, i protagonisti si muovono pervasi dalla sottile angoscia di non aver afferrato ciò che davvero volevano raggiungere, anche se la facciata sociale mostrerebbe il contrario. Cechov, ragazzo dalla vita resa difficile dalle ristrettezze economiche e da una insensata severità paterna, seppe affrancarsi dalla famiglia, ma non dalle proprie inquietudini: una volta raggiunta una certa agiatezza, stentò ad accettare una vita sentimentale ufficializzata con la donna che pur amava e uno stabile domicilio.
Ne “ Il gabbiano”, opera rappresentata per la prima volta nel 1896 con un clamoroso insuccesso, l’autore sembra aver iniettato nei personaggi, sia pur di età e di temperamento diversi, tutte le proprie altalenanti aspirazioni e, al tempo stesso, l’incapacità di essere condottieri della propria vita. Nel giovane animale, stroncato mentre vola elegante e spensierato, da un capriccio umano, si riconosce Nina, rea confessa del fallimento della propria esistenza, ancora amata da Konstantin (forse uomo di talento, certo provvisto di qualità morali e di costanza), che tuttavia non vuole o non sa ricambiare. In realtà, in questo dramma, tutti sono o sono stati “gabbiani”: tutti aspiravano a volare, forti dello scrigno dei propri talenti umani e del capitale affettivo, ma non lo hanno saputo fare, non hanno attivato abbastanza l’ autostima e la capacità di valutazione che serve per dirottare le sirene bugiarde; ora, malcontenti, si lasciano vivere tra le ineluttabili banalità della vita. Il tavolo della noiosa tombola campagnola, ne è uno splendido spaccato, tra discorsi volgari e risaputi, un gabbiano rigido, impagliato.
Ecco dunque in scena l’instabilità emotiva delle donne dal pianto e il riso simultanei, ecco i consigli tarpanti di buon vivere agli uomini attempati, l’angoscia di essere adulati in vita e minimizzati da morti, l’insicurezza della dipendenza affettiva da uomini altalenanti ed indecisi. Vite trascinate, vite doppiate, proprie dei deboli che non sanno scegliere: così li giudica con corretta e spietata visura il giovane Konstantin. Alla fine è proprio lui quello che rinuncia alla vita. Uno spettacolo da non perdere, con un secondo atto straordinariamente efficace, così come l’interpretazione avvincente e l’idea, sempre d’impatto, di estendere l’azione alla platea.
Elisa Prato
+ “Il Gabbiano”, di Anton Cechov, al Teatro della Corte fino a 19 marzo
Una produzione del Teatro Stabile di Genova, regia di Marco Sciaccaluga, con Elisabetta Pozzi, Francesco Sferrazza, Alice Arcuri e Federico Vanni