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Immigrazione: la Sanatoria 2012 rischia di essere un fallimento

Il limite più grave di questa norma è che il lavoratore straniero non ha la possibilità di attivare autonomamente la procedura di emersione dal lavoro nero


25 Settembre 2012Notizie

A 10 giorni dalla partenza ufficiale già si profila un rischio flop e piovono critiche sul provvedimento di emersione previsto dal Decreto legislativo n. 109 del 16 luglio 2012 – la cosiddetta sanatoria – volta, ufficialmente, a far emergere e “legalizzare” i rapporti di lavoro irregolari relativi a cittadini extracomunitari: i datori di lavoro che, alla data di entrata in vigore del decreto, occupano irregolarmente da almeno tre mesi lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale (in modo ininterrotto e documentato almeno dal 31 dicembre 2011 o precedentemente) potranno dichiarare la sussistenza del rapporto di lavoro allo Sportello unico per l’immigrazione ed avviare una procedura di regolarizzazione. La dichiarazione potrà essere presentata dal 15 settembre al 15 ottobre 2012.

«In realtà più che di sanatoria per immigrati dovrebbe parlarsi di condono, anche penale, per i datori di lavoro che hanno assunto “in nero” lavoratori stranieri irregolari – denuncia l’avvocato Alessandra Ballerini, membro dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e consulente della Cgil, dalle pagine del sito web www.corriereimmigrazione.it – Infatti il datore di lavoro, e solo lui, potrà autodenunciarsi per gli illeciti commessi e, a fronte del versamento di un contributo di 1.000 Euro per ciascun lavoratore con l’aggiunta del pagamento delle somme dovute a titolo contributivo e retributivo degli ultimi sei mesi, potrà ottenere l’estinzione dei reati commessi. Il “condono” del datore di lavoro potrebbe (il condizionale è d’obbligo visti tutti gli ostacoli ed i trabocchetti previsti dalla norma) avere come effetto collaterale il rilascio di un permesso di soggiorno per il lavoratore straniero».
Il limite più grave di questa norma è che il lavoratore non ha la possibilità di attivare autonomamente la procedura di emersione «Il lavoratore straniero in queste procedure di emersione non è un soggetto giuridico parte di un contratto, ma un oggetto», sottolinea Ballerini. Una scelta legislativa che appare «Incomprensibilmente discriminatoria, anche perché lascia il migrante in una condizione di sudditanza e di ricattabilità, oltre a non attribuirgli alcuna dignità di persona – continua Ballerini – Con queste norme per l’ennesima volta i lavoratori sono in balia dei datori di lavoro. Il fine, neppure troppo mascherato, è quello di fare soldi sulle spalle delle migliaia di immigrati che sognano di uscire dalla clandestinità».
In sostanza, se il datore di lavoro non intenderà dar corso alla procedura di emersione, al lavoratore non resteranno che due opzioni: rimanere in condizioni di irregolarità o rivolgersi al mercato illegale delle false assunzioni. «Così si spalancano le porte ai truffatori di professione, come è già accaduto nelle precedenti sanatorie – ribadisce l’avvocato ad Era Superba – individui capaci di chiedere la regolarizzazione del rapporto con 6-7 persone a cui estorcono almeno 6-7 mila euro di bottino».

Finora le domande di emersione sono state solo 16 mila in tutta Italia, pochissime a Genova. Mentre le previsioni della vigilia parlavano di 300 mila domande. «Nel caso siano assenti alcuni requisiti e la procedura di emersione venga comunque presentata, a rischiare penalmente è il datore di lavoro che quindi ci pensa due volte prima di autodenunciarsi», precisa Ballerini.

L’ostacolo più importante, però, rimane quello dell’esborso economico «E’ evidente che tutti i costi, così come nelle sanatorie precedenti, saranno sobbarcati dal migrante, disposto a tutto pur di ottenere quel pezzo di carta che lo rende finalmente legale», afferma l’avvocato. In molti casi, infatti, il datore di lavoro pretenderà che sia il lavoratore stesso a pagare il contributo forfettario di 1.000 euro, dovuto alla presentazione della domanda di emersione, nonché i contributi e le ritenute fiscali dovuti per almeno sei mesi.
Inoltre, il Decreto legislativo impone allo straniero di provare – con atti provenienti “da organismi pubblici” – di essere presente sul suolo italiano almeno dal 31 dicembre 2011. «È assurdo chiedere ad una persona che è stata sempre costretta a nascondersi di documentare con atti pubblici (e dunque forse non si era nascosta poi così bene) di aver commesso un reato (la clandestinità) da non meno di 9 mesi», sottolinea Ballerini. Il “clandestino”, per definizione, cerca di vivere in una condizione di invisibilità, quindi chi non abbia avuto la sfortuna di incappare in un provvedimento di espulsione o in un ricovero ospedaliero, difficilmente potrà assolvere a tale condizione. Per numerosi lavoratori l’unica soluzione per accedere alla sanatoria sarà quella di procurarsi una documentazione contraffatta.
«La procedura di emersione va resa equa e fruibile o rischia di essere un’occasione mancata – denuncia il Tavolo Immigrazione (Acli, Arci, Asgi, Centro Astalli, Cisl, Cgil, Comunità di S. Egidio, Fcei, Sei-Ugl, Uil) – La richiesta della prova di presenza in Italia al 31 dicembre 2011 è incongrua e ingiustificata e si configura come una vessazione sia nei confronti dei lavoratori che dei datori di lavoro. Le pubbliche amministrazioni non possono produrre documentazione, salvo in casi molto particolari, per stranieri irregolarmente presenti nel territorio. La nostra richiesta, che non ha ottenuto risposta, è di chiarire al più presto almeno cosa si intenda per organismi pubblici, ampliando il più possibile il novero dei soggetti che possono rientrare in questa categoria, non escludendo anche il ricorso a certificazioni emesse da enti privati».
«Che affidabilità può dare uno Stato che fa le regole e poi le disfa, le sovverte?  – è la domanda retorica che si pone Alessandra Ballerini  – Che prima urla la tolleranza zero per i “clandestini” e poi con un gioco di prestigio proclama che lo stesso presupposto che fino al giorno prima comportava come conseguenza il decreto di espulsione, il trattenimento per 18 mesi in un Cie e la contestazione del reato di clandestinità, il giorno dopo comporti il premio del rilascio del permesso di soggiorno. Come si fa a credere in uno Stato così?».

Occorre sottolineare che oggi l’unico modo di diventare “legale” per uno straniero che ha perso, oppure non ha mai avuto, il diritto al soggiorno, è quello di usufruire delle sanatorie, strumenti periodici quanto necessari per rilasciare permessi di soggiorno a lavoratori che in Italia in realtà già ci sono.
«La legge impone una presenza ininterrotta ma sono numerosi i casi di persone presenti sul suolo italiano anche da molto più tempo, però in maniera discontinua – spiega Ballerini – Per loro è impossibile emergere». Ad esempio gli stranieri esenti dall’obbligo di visto d’ingresso che entrano nel nostro Paese per motivi turistici e possono soggiornarvi massimo tre mesi. Terminato quest’arco temporale «Tornano al paese natio e successivamente rientrano nuovamente in Italia – continua Ballerini – rispettando la legge sono penalizzati perché non possono fare la richiesta di emersione».
E non vanno dimenticati coloro i quali «Sono costretti a fare un breve ritorno in patria per la morte di un parente – racconta l’avvocato – E solo per questo motivo vengono esclusi dalla sanatoria».
Inoltre alcuni migranti che già possiedono un permesso di soggiorno temporaneo, ad esempio genitori di bambini con problemi di salute «Potrebbero essere stati assunti ugualmente “in nero” – afferma Ballerini – Ovviamente in casi simili è ancora più arduo ipotizzare che il datore di lavoro, di sua spontanea volontà, decida di autodenunciarsi. Se invece il datore di lavoro è una persona onesta e ha regolarizzato il lavoratore, quest’ultimo alla scadenza del permesso temporaneo torna ad essere un irregolare». Ciò accade anche per i richiedenti asilo «Per i primi 6 mesi la legge non gli consente di lavorare ma se la pratica dura di più, come accade solitamente, viene data loro quest’opportunità – continua l’avvocato – Pensiamo a tutti i profughi giunti in Italia l’anno scorso. Se stanno lavorando in regola non possono essere sanati. Quindi, se la loro pratica per l’asilo non andrà a buon fine, ricadranno in clandestinità».

«Una sanatoria degna di questo di nome dovrebbe essere permanente e dunque non limitata in un mese di tempo né stabilita con “norma transitoria” o decreti ministeriali, ma invocabile in qualsiasi momento e sancita per legge – conclude Ballerini – dovrebbe essere azionabile anche e soprattutto dal lavoratore straniero indipendentemente dal consenso del datore di lavoro, e dovrebbe essere immune da gabelle, trucchetti, ostacoli e dunque dovrebbe prevedere: nessuna dimostrazione con atti pubblici di datata permanenza in Italia, la previsione di un permesso per attesa occupazione nel caso in cui sia il datore di lavoro a non possedere i requisiti per l’emersione, nessun limite alla tipologia di lavoro, eliminazione dell’automatica ostatività delle segnalazioni di inammissibilità nello spazio Schenghen e di condanne penali».

 

Matteo Quadrone


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