L'ad Giuseppe Bono annuncia all'ex pr del Cezanne nonché tesoriere della Lega Nord la promozione "honoris causa" a vicepresidente di Fincantieri, una carica creata ad hoc
E’ una vera fortuna che ancora non esista una legge contro le intercettazioni. Non solo perché sarebbe perfettamente inutile, e anzi dannosa; ma anche perché ci toglierebbe tutto il divertimento. Ieri in particolare sono uscite le intercettazioni dell’ex-tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito, già indagato per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato per la gestione clientelare e privatistica di quei rimborsi elettorali che noi stessi paghiamo ai partiti con le nostre tasse.
Benché questi documenti aggiungano poco a quello che già si sapeva, sono comunque molto interessanti, perché ci aiutano a ricordare per quale motivo la politica in grande maggioranza, compreso il ministro Severino e persino il Quirinale, desideri così fortemente una limitazione alle intercettazioni. E viceversa per quale motivo a noi convenga che non vi sia posto limite alcuno. Ma oltre a questo, diciamoci la verità: sono anche uno spasso unico e impagabile.
Lo stesso Belsito è una figura che è già tutta un programma. Basso, rotondetto e dalla vocina stridula, il nostro vanta già da giovane un curriculum di tutto rispetto: è infatti lo storico animatore e p.r. (addetto alle public reletions) delle serate genovesi del Cézanne. Di qui balza (non si sa bene come) al ruolo di autista del ministro berlusconiano della giustizia Alfredo Biondi. E per questo incarico di alta responsabilità viene premiato con ben due nomine a sottosegretario (l’ultima al fianco di Calderoli alla semplificazione normativa nell’ultimo governo Berlusconi) e messo a capo della tesoreria della Lega Nord. Quindi riesce a farsi nominare addirittura vicepresidente (una carica che fino ad allora non esisteva) di una delle più grandi aziende di Stato: Fincantieri.
Anche se non si sa bene quali esperienze nel campo della cantieristica navale potesse vantare, oggi sappiamo che fu lo stesso amministratore delegato Giuseppe Bono ad annunciargli la lieta novella: «Allora, la tua nomina è stata sbloccata». «Grazie mille!» risponde Belsito.
A quel punto Belsito, uno sconosciuto partito dal nulla, è definitivamente dentro al giro che conta, dalla politica all’industria. E può manovrare in prima persona. E’ lui stesso infatti a muoversi, coinvolgendo lo stesso Bono, per far ottenere un posto d’oro in Fincantieri, in piena crisi, a Maurizio Barcella, autista e body-guard di Umberto Bossi. Se ne vanta al telefono proprio con la moglie del senataùr, Manuela Marrone: «Il direttore (Scarrone, ndr) mi ha detto: Franci, già che siamo in confidenza, guarda che noi a un diplomato di scuola professionale non l’abbiamo mai fatto firmare un contratto del genere. E’ la prima volta nella storia della Fincantieri».
Troppo ottimismo: a quanto pare, alla fine la cosa non andò in porto. Ma è proprio con la moglie di Bossi che Belsito parla senza peli sulla lingua, e si lascia andare alle invettive più gustose. Quando la Marrone avanza il dubbio che il marito abbia lasciato un po’ andare il partito, l’ex-autista non si trattiene: «Ma troppo! Fanno tutti i loro comodi. Non c’è un settore che funziona. Le associazioni padane non funzionano… non funziona niente. Niente, niente (…) Io mi vergogno! Ma mi vergogno veramente. È tutto lo staff attorno! È una cosa impressionante (…) è composto da gente ignorante e da imbecilli». La risposta della Marrone merita di essere riportata: «Essendo lui un genio, ha potuto essere sempre contornato da imbecilli. Tanto faceva lui. È quello il problema!». Belsito non è convinto: due o tre sarebbe un conto, ma qui sono «tutti imbecilli!». Ma il suo bersaglio preferito è Calderoli, il ministro sotto il quale lui stesso stava lavorando: «Quello è un asino bardato da generale, il mio ministro. Quello è veramente un asino. Devo togliermi la soddisfazione di dirglielo, che è un asino, veramente. (…) Se quello è diventato ministro, io un giorno posso pensare di fare il presidente. (…) Il Papa! (…) Io lo guardo e dico: che cosa ha fatto alla semplificazione normativa?». Impossibile non andare con la mente all’ormai celeberrimo rogo delle 375.000 “leggi inutili” che mise in piedi due anni fa lo stesso Calderoli, noncurante del ridicolo, noncurante del fatto che il suo collega Tremonti stimasse il totale delle leggi italiane in un massimo di 150.000 e noncurante dell’obiezione, avanzata da Gian Antonio Stella, secondo cui per approvarle, queste leggi inutili, il Parlamento Italiano in 150 anni di storia avrebbe dovuto lavorare al ritmo di una legge inutile all’ora (!), trovando poi anche il tempo di approvare quelle utili “risparmiate” dal ministro piromane.
Altre telefonate memorabili sono intercorse con Renzo Bossi, che come tutti i giovanissimi ha bisogno della ricarica del cellulare (da venticinque euro al giorno, però) e anche della Viacard per l’autostrada. Insomma, nel suo complesso il quadro che emerge da questa folkloristica vicenda illustra al meglio il vero motivo per cui, al di là dei rilievi penali, si sta cercando di limitare le intercettazioni: perché rischiano inevitabilmente di lasciar intravvedere, tra i vari illeciti, anche il vero volto di questa classe politica decadente.
La casta è già abituata a difendersi in vario modo dalle accuse penali: tra successi e insuccessi, ci ha fatto il callo. Ma dalla divulgazione di certe registrazioni troppo “genuine” teme di subire colpi d’immagine durissimi: teme insomma che la gente capisca. Eppure non avrebbero motivo di essere così preoccupati: cosa valessero davvero certi ministri, sottosegretari e consiglieri regionali i più lo avevano già capito da soli, anche senza intercettazioni.
Andrea Giannini