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Il vertice europeo di questi giorni sarà fondamentale per capire il futuro dell'Europa ed il destino della moneta unica
E’ Italia – Germania. E non riguarda (solo) il calcio. La partita più importante la stiamo giocando al vertice europeo di Bruxelles: ed anche questa è una partita da dentro o fuori.
Le speranze di tutti si appuntano sul premier italiano: non è un mistero che sia Monti il leader europeo che ha il compito di persuadere Frau Merkel. L’obiettivo è trovare uno strumento che permetta di ridurre gli spread; in altri termini, una soluzione che consenta a Spagna e Italia di tornare a finanziarsi sul mercato senza pagare gli astronomici tassi di interesse attuali, mentre la Germania ne paga di bassissimi.
E’ chiaro che le due cose sono collegate: più il nostro paese è percepito come a rischio, più gli investitori si sposteranno su paesi ritenuti più affidabili, come la Germania. Insomma la nostra difficoltà di finanziamento è il rovescio della medaglia della facilità tedesca: una cosa determina l’altra e viceversa. E questo fa sorgere la domanda: siamo noi che siamo particolarmente incapaci o sono i Tedeschi che sono particolarmente bravi? E’ così che a questioni economiche, monetarie e politiche si mischiano giudizi e pregiudizi che speravamo di non sentire più e che la rivalità calcistica di questi giorni alimenta ulteriormente.
Ma anche a un livello, per così dire, “più alto”, cioè tra economisti e notisti politici sta spopolando il rimpallo delle responsabilità e il dibattito sulle colpe dell’uno e dell’altro popolo. Ieri il Corriere della Sera ha ospitato un intervento di Alberto Alesina, che se la prende decisamente con il “livore antitedesco” mostrato da alcuni commentatori e assolve decisamente la Germania con argomenti che ho già sentito ripetere da più parti. E forse, a questo punto, conviene discuterli un minimo.
In Italia, ad esempio, il dibattito si è cristallizzato a partire da due pregiudizi opposti, che hanno entrambi un fondo di verità. Da una lato ci sono quelli, come appunto Alesina (ma anche Marco Travaglio), che vedono soprattutto l’inadeguatezza mostrata dalla società italiana e dalla sua classe politica, e per questo motivo, all’opposto, tendono ad assolvere da ogni responsabilità il modello tedesco improntato al rispetto delle regole e all’efficienza. Dall’altro lato ci sono quelli che pensano che non possa essere tutta colpa nostra: partendo dall’oggettivo fallimento della linea del rigore imposta dalla Germania all’Europa, rimpallano sui Tedeschi ogni addebito e chiamano sul banco degli imputati l’intero impianto dell’euro.
Chi ha ragione? Innanzitutto chi certamente ha torto, sotto tutti i punti di vista, e non avrebbe quindi il diritto né di pontificare pubblicamente né di prendersela con la Germania e con l’euro, è questa classe politica: che aveva la possibilità di fare molte buone cose, al di là della valuta in uso e delle influenze teutoniche, ma è riuscita a governare malissimo, e anche a fare una cattiva opposizione. Per questo motivo non soltanto la banda Berlusconi, ma anche i dirigenti della sinistra avrebbero ottimi motivi di decenza per non cercare alibi, levare le tende e lasciare in silenzio il posto ad altri. Fatta questa premessa, bisogna poi distinguere bene i vari livelli di una discussione altrimenti sterile. Un certo insieme di considerazioni che si sentono in giro, ad esempio, guarda al passato: quali sono state le responsabilità dei singoli Stati? Che ruolo ha avuto l’euro in tutto questo? Sono domande difficili. Il giudizio più significativo lo darà la Storia e per definizione spetta ai posteri, non a noi.
Tuttavia possiamo dire che è un dato di fatto che la Germania abbia sfruttato le opportunità date dell’euro molto meglio dell’Italia; ma è anche vero che le condizioni di partenza erano ben diverse. La Germania, ad esempio, ha risorse minerarie abbondanti e aveva già un poderoso sistema industriale, almeno nell’ovest. L’Italia invece per certi versi era da tempo in una fase di bassa crescita, di crisi identitaria sia economica che politica e contava molto sull’export agevolato da una lira debole. In questa situazione, con la complicità della diversa qualità delle rispettive classe dirigenti, l’euro è stato le ali del boom tedesco e contemporaneamente una sfida di competitività forse troppo grande per il fragile sistema italiano. Dire, come fa Alesina, che non è certo una colpa dei Tedeschi quella di «produrre Audi e Bmw che tutti vogliono» non coglie il punto. Tutti vogliono anche le Ferrari, se è per questo. Ma con l’euro è diventato molto più semplice vendere una BMW a un italiano che una Ferrari a un tedesco. E questo in Germania ha aumentato il fatturato delle aziende che esportavano, migliorato i salari e aumentato anche le entrate per lo Stato. E non si può neanche esagerare l’importanza nella crisi attuale delle fantomatiche «riforme». Indubbiamente i Tedeschi hanno fatto riforme strutturali importanti che hanno dato al paese equilibrio e stabilità, e sono state cruciali per l’affermazione economica e il riassorbimento della disoccupazione. In Italia invece non ci abbiamo nemmeno provato: e questa è una colpa. Ma nulla ci autorizza a pensare che le riforme di cui l’Italia aveva e ha bisogno siano le stesse che hanno fatto i Tedeschi, che non richiedessero sacrifici maggiori rispetto a quelli che hanno affrontato con successo i Tedeschi e che ci avrebbero restituito un paese forte come quello tedesco. Non si può fare un ragionamento simile in astratto prescindendo dal sistema di relazioni, dalla stabilità sociale, dalle risorse disponibili, dai problemi logistici, dalla qualità della classe dirigente e dal suo sistema di selezione: in una parola dall’eredità storica e dalle oggettive specificità del territorio. In ogni caso anche se così non fosse, – torno a ribadire – questo giudizio lo daranno gli storici. In questo momento il passato conta relativamente.
Da quando è scoppiata la crisi greca, come dice giustamente Alesina, tutti i leader europei «hanno fatto un gran pasticcio, creando poi contagio»: ma non si può negare che nel determinare questa strategia il ruolo guida della Germania non sia stato decisivo. La crisi finanziaria è nata negli Stati Uniti ed è sbarcata in Europa attraverso il porto di Atene: era ed è stata per lungo tempo essenzialmente una crisi di fiducia dei mercati finanziari relativamente gestibile. L’ostinazione tedesca a non volerla affrontare direttamente e anzi ad utilizzarla per costringere i partner europei a fare quelle riforme che avrebbero dovuto evitare alla Germania di intervenire finanziariamente in un modo o nell’altro, ha prodotto l’urgenza attuale.
E’ indubbio che, rimanendo a noi, sia Berlusconi prima, che Monti poi, avrebbero potuto fare di più dal punto di vista delle riforme. Ma anche qui c’è stato un grosso errore di calcolo. Oltre ad aver fatto capire troppo tardi che Berlusconi era un problema, e anche senza voler cedere alla tesi che vede la mano della Troika dietro le manovre che portarono Monti a palazzo Chigi, è chiaro però che il suo insediamento a premier è stato salutato positivamente sia a Berlino che a Bruxelles. Peccato solo che non si sia tenuto in debito conto che cambiare il primo ministro e mandare al potere un governo tecnico esclude il ricambio del Parlamento: che infatti è sempre quello che sentenziò a maggioranza assoluta la discendenza egiziana della marocchina Ruby Rubacuori. Non si rendevano conto nell’UE che questo Parlamento di cooptati difficilmente avrebbe votato misure incisive contro la corruzione e l’evasione fiscale? Che difficilmente avrebbe ridotto i costi della pubblica amministrazione? Che difficilmente avrebbe sopportato di farsi logorare varando misure impopolari una dopo l’altra? Insomma, se proprio dobbiamo dare un giudizio su questa complessa fase storica, una linea equilibrata deve ammettere che, accanto a quelle pesanti di tutti gli altri, si possano individuare anche cruciali responsabilità tedesche.
Ma ciò che più conta non è il passato: è il futuro. Anzi, il futuro prossimo; e l’Europa non ha più di uno o due mesi a disposizione. Ammesso e non concesso che esistano misure che l’Italia possa prendere da sola per salvarsi, è chiaro che oggi il paese avrebbe bisogno di tempo: che non c’è. Per questo il vertice europeo di questi giorni sarà fondamentale. Per questo oggi tutto è nelle mani dalla volontà tedesca di tenere insieme l’euro. La pressione internazionale è arrivata al punto tale che la Germania non può più nascondersi. Greci, Spagnoli e Italiani hanno sbagliato tutto, mentre i Tedeschi facevano tutto giusto? Può darsi. Ciò non toglie che ora la situazione è quella che è, e offre due sole alternative: o un’Unione Europea più solida o la fine dell’euro. Se la Merkel pensa davvero che l’euro sia stato per la Germania più un onere che un beneficio, oppure se pensa davvero che degli altri paesi non ci si possa più fidare, può prendersi la responsabilità storica di decretare la fine. Sarebbe una scelta dannosa per il resto dell’Europa e per l’economia mondiale. Per i Tedeschi, chissà: in ogni caso potrebbero poi giudicare loro stessi in breve tempo. E per il resto toccherebbe alla Storia assolverli o condannarli per questa decisione. Ma se la Germania deciderà di tenere in vita l’Unione Europea, potrà chiedere tutte le condizioni e le garanzie che vuole; ma non potrà sottrarsi all’obbligo di pagare, in qualche forma, anche per gli errori di altri. Nelle unioni politiche vere, queste cose succedono. Gli Stati Uniti non metterebbero in discussione il dollaro perché la Louisiana ha truccato i conti. Anzi, è proprio perché manca questa garanzia che la speculazione in Europa non si arresta. Se la Germania alla fine farà una qualche concessione in questo senso, dopo potrà chiedere molto: e scoprirà anche che molti in Italia saranno contenti di avere istituzioni europee forti, che possono ridare credibilità anche a quelle nostrane.
Andrea Giannini
Commento su “Italia – Germania: la vera sfida si gioca a Bruxelles”