Umberto Bossi chiede scusa e fa un passo indietro, ma lo scandalo che ha colpito la Lega Nord, in Italia, è ordinaria amministrazione
Lega Nord dalle stalle alle stelle. Fino all’altro giorno sembrava che il movimento avesse subito un colpo durissimo, dopo che era venuto fuori ciò su cui stavano lavorando i magistrati: vale a dire, come ormai tutti sanno, che il tesoriere del partito, Francesco Belsito, concedesse a amici e colleghi di partito, per uso privato, il denaro ricevuto grazie al finanziamento pubblico (cioè i soldi delle nostre tasse che i partiti si intascano con il pretesto dei rimborsi elettorali).
Bossi si sarebbe ritrovato parte della casa ristrutturata (ma a sua insaputa); al suo degno erede, il “Trota”, sarebbe stato pagato un diploma, varie multe e altre spese grandi e piccole; e la vicepresidente al senato Rosi Mauro avrebbe comprato una laurea e regalato una ricca consulenza (proprio presso la vicepresidenza del senato) al fantomatico Pier Moscagiuro, ex-poliziotto, body-guard e presunto amante della Mauro, con alle spalle una gloriosa carriera canora sigillata dal successo discografico “Kooly Noody”, incisa in coppia con Enzo Iacchetti.
Poi, come per incanto, la Lega stupisce tutti: Bossi annuncia il ritiro, il Trota si dimette dal consiglio regionale e parte un processo di rinnovamento interno. Il 10 aprile scorso, a Bergamo, si tiene una grande manifestazione di militanti: tra cori e scope padane, Maroni è incoronato virtualmente nuovo leader e promette subito di “dimettere” la Mauro, fischiata dai partecipanti e additata da tutti come mela marcia assieme all’ormai ex-tesoriere Belsito.
E’ a questo punto che i giornali cominciano a sperticarsi in elogi. Il Corriere della Sera non aveva lesinato panegirici all’Umbèrt dimissionario, spacciato da Pierluigi Battista come il grande statista che impose la “questione settentrionale”. Persino due giornalisti che non avrebbero alcun motivo per essere teneri con la Lega, Maurizio Belpietro e Marco Travaglio, riconoscono pubblicamente la capacità di mobilitazione del popolo leghista, la correttezza della scelta delle dimissioni dei coinvolti e il giusto istinto di pulizia e rinnovamento. Insomma, la Lega travolta dallo scandalo riesce a dare lezioni di moralità.
Ora, con il precedente di un personaggio che non si è mai dimesso da presidente del consiglio pur con una ventina di processi alle spalle e con accuse a carico di rapporti mafiosi, riciclaggio, corruzione e abuso d’ufficio, è indubbio che colpisca favorevolmente il fatto che si dimetta spontaneamente un Trota qualsiasi, benché non indagato e accusato al più di aver speso soldi del partito per motivi personali. Detto questo, però, bisogna dare alle cose il loro giusto peso.
Lo scandalo che ha travolto la Lega è in realtà ordinaria amministrazione. Infatti, era piuttosto ovvio che il combinato di bilanci poco trasparenti e massicci finanziamenti pubblici e privati fosse finalizzato al mantenimento occulto di un blocco di potere: per quale motivo la politica si sarebbe costruita un sistema così munifico e opaco, se non ci fossero affari da nascondere?
Al contrario molta liquidità a disposizione e scarsissimi controlli sulla spesa vanno a costruire la classica occasione che fa l’uomo ladro, laddove per lo meno non ci sia una saldissima integrità morale (ma su questo punto credo davvero che nessuno si facesse molte illusioni). Quindi era già tutto scritto. Per questo l’improvvisa indignazione dei grandi giornali fa un po’ sorridere (io stesso avevo toccato l’argomento mesi fa; ma è da anni che i radicali battono inascoltati su questo tasto).
E stupisce anche la sorpresa dei dirigenti del Carroccio, Maroni in primis, come se fino a ieri avessero vissuto sulla luna. Il fatto poi che Belsito, Mauro e Renzo Bossi abbiano dovuto fare i conti all’interno del partito non con fantomatici “probi viri” o improbabili “commissioni di garanzia”, ma con una base di militanti organizzati – merce rara di questi tempi – può anche fare notizia, ma non sposta il punto della faccenda: la Lega rimane quello che è e nonostante gli sforzi non si trasformerà in un partito migliore.
Innanzitutto perché i princìpi che ispirano il movimento erano e restano patacche clamorose, come ho già avuto occasione di dire in precedenza; poi perché quella che abbiamo visto andare in scena a Bergamo non è stata tanto un’opera di pulizia interna, quanto piuttosto la resa dei conti tra Maroni e i suoi avversari politici; infine perché i militanti saranno anche ben organizzati e fedeli, ma sono tutto sommato pochi e continuano a dimostrarsi ubriachi di folklore leghista e succubi dei loro leader. E se gli elettori “moderati”, come sembrano confermare i recenti sondaggi, sono in fuga, il partito non si rialzerà mai solo grazie ai militanti, che nel corso degli anni si sono bevuti tutto e il contrario di tutto: prima la Lega moralizzatrice, poi la condanna di Bossi e le “toghe rosse”; prima la secessione, poi il federalismo; prima al governo con Berlusconi, poi mai più con Berlusconi; prima Berlusconi mafioso, poi non più mafioso; prima Roma ladrona, poi a Roma seduti in poltrona.
E dopo aver digerito tutto questo, nel momento estremo della ricostruzione e del rinnovamento, quando persino a Bossi viene chiesto un passo indietro, il popolo leghista è riuscito ad assistere senza scoppiare a ridere alla favoletta del senatùr sull’arrivo di Belsito in Via Bellerio: un ex-autista ed ex-buttafuori, infatti, sarebbe finito a gestire i soldi della Lega per esplicita richiesta, fatta sul letto di morte, dell’allora tesoriere Maurizio Balocchi. Che è un po’ come credere alla storia di Berlusconi che da soldi a Ruby Rubacuori non perché è una procace e disinibita frequentatrice delle sue “feste”, ma perché è una piccola fiammiferaia spaurita. Ecco, magari domani stesso i leghisti mi smentiranno dando vita al movimento più coerente di questa terra. Ma se s’illudono che il vento del cambiamento possa passare attraverso le puerili scuse di leader che ormai hanno fatto il loro tempo, è più che probabile che la storia della Lega finirà presto.
Andrea Giannini