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Lobby e think tank in Italia: i segreti della politica e l’assenza di norme

Non si può obiettare nulla se privati istituiscono associazioni e chiedono ai membri di rispettare un principio di riservatezza: ma questa stessa riservatezza può esser richiesta a chi svolge ruoli pubblici o rappresenta la nazione?


7 Giugno 2013Rubriche > "Polis" Critica Politica

ParlamentoFa piacere vedere come il giornalismo italiano abbia riscoperto il gusto per l’inchiesta scomoda. Lo si capisce dal modo in cui viene tallonato Beppe Grillo, al quale i vari Lilly Gruber e Corrado Formigli non mancano di rinfacciare continuamente questioni di democrazia interna,  autoritarismo e indipendenza dei parlamentari. Basta pazientare ancora un po’ e forse queste portentose coscienze critiche della nostra società riusciranno persino ad enucleare quello che è il vero tema della questione (un tema che nessuno avrebbe potuto porre  – tanto per dire – già a maggio dell’anno scorso): e cioè che un leader non eletto che condiziona i suoi parlamentari dall’esterno è un’anomalia politica.

Nel caso del M5S è difficile, francamente, scorgere particolari finalità eversive. Ciononostante la questione ha una qualche rilevanza dal punto di vista formale: è giusto che Grillo e Casaleggio, due privati cittadini che restano fuori da un’architettura istituzionale fatta di pesi e contrappesi, possano dettare la linea ai parlamentari del loro movimento attraverso il blog? La vita politica, infatti, si svolge entro precisi luoghi istituzionali proprio perché possa essere controllata: se ci spostiamo da quei luoghi non rischiamo, come cittadini, di perdere il controllo? E’ possibile accettare forme di democrazia telematica? Funziona il controllo della rete, oppure a decidere realmente sono Grillo, Casaleggio e – peggio – chi eventualmente riesca a esercitare su di loro una qualche influenza? Sono domande lecite, perché al fondo c’è una questione di democrazia. Però, attenzione: non può valere solo per Grillo.

Il problema delle influenze esterne, cioè di chi e come tenti di condizionare le scelte dei  rappresentanti eletti e dei funzionari pubblici, è molto importante ed è giusto che venga posto: ma il M5S è piccola cosa rispetto alla vastità del fenomeno. Che, per esempio, comprende il tema del lobbismo.

Le lobby, cioè libere associazioni che cercano di promuovere interessi di categoria presso il legislatore, sono una realtà di cui in Italia si parla poco. Negli Stati Uniti sono riconosciute e  regolamentate da precisi leggi, oltre che oggetto di un dibattito sempre molto acceso. A livello di Comunità Europea, invece, esiste solo un registro a cui i vari gruppi di pressione possono decidere o meno di iscriversi: un’iniziativa che a quanto pare ha avuto scarso successo, facendo si che l’attività lobbistica tra i palazzi di Bruxelles si svolga in modo piuttosto opaco. Da noi si sono fatte varie proposte, ma l’argomento è delicato: infatti, se da un lato la mancanza di un quadro normativo e di un codice deontologico può lasciare spazio ad un sistema di relazioni “gelatinoso” (in direzione del modello dell’UE), dall’altra un riconoscimento effettivo del ruolo delle lobby può essere il preludio per il consolidamento legale del loro potere (portando verso il modello degli USA).

Ma sulla scena internazionale non ci sono solo le fantomatiche lobby dei petrolieri e dei banchieri: ci sono anche i cosiddetti “think tank”, cioè fondazioni o associazioni che si occupano di promuovere una riflessione critica su determinati argomenti. E poi ci sono non meglio precisati ibridi. Per lo meno questo è quello che sta scritto sul sito (non si capisce se ufficiale o meno) dell’ultimo raduno del club Bilderberg, che proprio in questi giorni va in scena a Watford, nel Regno Unito: «Il Club Bilderberg” – cito testualmente – “è in parte una lobby, in parte un think tank, in parte un corpo impegnato a delineare linee-guida politiche».

Oltre al club Bilderberg esistono anche altre “associazioni”: la Commissione Trilaterale, l’Aspen Institute, e in Italia l’Aspen Institute Italia e il think tank Vedrò. Questi “gruppi” non facilmente definibili hanno la caratteristica di includere al loro interno esclusivamente personalità “outstanding”, cioè straordinarie: il che significa essenzialmente uomini di potere, sia esso finanziario, economico, industriale, mediatico, intellettuale o anche politico. L’altra particolarità è la riservatezza delle riunioni: benché tutti sappiano quando si tengono e chi siano gli invitati (il che quindi esclude la connotazione di segretezza), di fatto si svolgono a porte chiuse e ciò impedisce la diffusione all’esterno di quello che è stato detto all’interno.

Ovviamente tutto ciò ha alimentato varie teorie del complotto, la più famosa delle quali è quella “demo-pluto-giudaico-massonica”. Ma noi cerchiamo di restare ai fatti, a quello che si sa e si può dire con certezza.

enrico-lettaE’ un fatto che alle riunioni del club Bilderberg abbiano partecipato, tra gli altri, gli ultimi due Presidenti del Consiglio: Mario Monti ed Enrico Letta, i quali quindi sono tenuti alla stessa riservatezza che si chiede agli altri membri. E’ un fatto, d’altra parte, che queste riunioni siano perfettamente legali, perché c’è la libertà d’associazione. Ciononostante è lecito porre una questione: può un ministro della Repubblica, o addirittura un Presidente del Consiglio, partecipare a riunioni riservate senza renderne conto al popolo?

Non si può obiettare nulla se dei privati istituiscono delle associazioni private e chiedono ai loro membri di rispettare un principio di riservatezza: ma questa stessa riservatezza può esser richiesta a chi svolge ruoli pubblici o rappresenta la nazione? La riservatezza che attiene alla vita privata di ciascuno (privacy) è una cosa; le ragioni di segretezza che sono talvolta indispensabili per il governo di un paese (segreto di Stato) sono un’altra cosa; ma le ragioni di riservatezza di un’associazione privata sono una terza cosa ancora, che non c’entra nulla con le prime due.

Inoltre il fatto che vi prendano parte esponenti del mondo economico-finanziario, dell’industria, dell’informazione e della politica, cosa che di fatto realizza una concentrazione di potere, desta particolare preoccupazione, perché rischia di mettere in discussione un principio che col complottismo non ha nulla a che vedere. Scriveva infatti Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu: «Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere». E’ la teorizzazione della separazione dei poteri, alla base della concezione moderna dello Stato di diritto. E’ pur vero che classicamente questa separazione riguarda i poteri politici (legislativo, esecutivo, giudiziario), ma è anche vero che il principio filosofico e di buon senso che la ispira (chi ha il potere tende ad abusarne) è alla base di varie leggi sul conflitto di interessi e del richiamo continuo all’indipendenza che dovrebbe avere chi fa informazione.

C’è poi la Costituzione. L’art. 54 dice: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». L’art. 98, poi, recita: «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». Insomma, è evidente che chi cura gli interessi delle élite non può curare gli interessi pubblici in uno Stato di diritto, che per sua definizione serve proprio come argine nei confronti del potere del più forte (il quale infatti sopravviverebbe benissimo anche nello Stato di natura). Cos’altro serve allora per ribadire che non si può servire Dio e mammona; per richiamare ad una maggiore separazione, anche formale, tra chi svolge attività pubbliche e chi è inserito in non meglio precisate organizzazioni internazionali d’élite?

E’ appunto l’indeterminatezza che avvolge queste organizzazioni è fornire un ultimo elemento di perplessità, perché non è ben chiaro cosa facciano o a cosa mirino. Di sicuro non sono assimilabili a semplici lobby, perché non ci sono specifici interessi o particolari categorie di riferimento. E non a caso di solito si richiamano a “mission” del tutto generiche e imprecisate. Ad esempio, sul sito dell’Aspen Italia si parla de “l’approfondimento, la discussione, lo scambio di conoscenze, informazioni e valori”. Ma in concreto, cosa vuol dire?

L’ex-sottosegretario Michel Martone, che dell’Aspen è un entusiasta frequentatore, ha detto addirittura che scopo dell’associazione è costruire una società più giusta. Dobbiamo credere davvero, dunque, che uomini potenti si rinchiudano in una stanza per studiare come fare il bene degli altri? Forse converrebbe suggerire a questi ingenui che l’occasione sarebbe propizia, piuttosto, per farsi gli affari loro. Anche perché, magari Martone non la sa, ma c’era uno “sfigato” tanti anni fa che aveva inventato un modo molto semplice per costruire una “società più giusta”:

«Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni» (Mc 10, 17-30).

 

Andrea Giannini

 


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