Sarà ancora una volta sfida Berlusconi - Bersani per la poltrona di Palazzo Chigi, ma quale sarà il ruolo del terzo incomodo Mario Monti dopo le dimissioni da premier? Ecco l'analisi politica
Ora che la “politica” è rientrata prepotentemente in scena, con l’ennesima ricandidatura di Berlusconi, le ormai certe elezioni anticipate e la mossa a sorpresa di Mario Monti, pronto anch’egli – pare – ad una vera “discesa in campo”, ci torna finalmente utile aver parlato tanto di problemi economici. Perché possiamo così valutare con maggior cognizione di causa il senso delle scelte dei vari protagonisti: i quali non sono affatto buoni e cattivi nel modo in cui sono comunemente “disegnati”, per dirla alla Jessica Rabbit.
Prendiamo Berlusconi. Il Cavaliere, anche se in questi giorni prende bastonate da tutti, a partire dai mercati azionari e obbligazionari, non è affatto quella grave minaccia per l’Italia che ci viene raccontata: o quantomeno, se lo è oggi, non è per motivi diversi da cinque o dieci anni fa. Anzi, ormai conosciamo bene il pover’uomo: amante delle belle donne, spregiudicato, ruffiano, viscerale, dotato dell’istinto del piazzista e senza alcuna cultura politica o senso delle istituzioni. Per uno così la politica non è mai stata un obiettivo: se mai, è stata un mezzo, vuoi per ingrandire un ego già gigantesco, vuoi per avvantaggiare le proprie aziende e poi per salvarsi dalle conseguenze giudiziarie della sua stessa mancanza di scrupoli. Per questo si è occupato solo di mantenere quel consenso che gli permettesse o di governare o di condizionare chi governava. E avere un buon consenso per un bravo venditore non è un grosso problema. Disse una volta: «È difficile non andare d’accordo con me: quando c’è qualcuno che ha delle punte mi faccio concavo, quando c’è qualcuno che si ritrae mi faccio convesso». Berlusconi, per ottenere i suoi scopi, ha sempre fatto così: ha anche minacciato, insultato e combattuto, ma soprattutto ha adulato, ha stipulato accordi e ha distribuito doni. Ha cercato, insomma, di dare alla gente quello che voleva, per poi poter fare lui stesso quello che voleva. In questo modo è stato a galla per vent’anni. Alla luce del contesto, dunque, anche questa sua ultima mossa – il ritorno in politica contro l’Europa dei poteri forti – non sorprende. Sempre attento agli umori di quelli con cui si confronta, il Cavaliere ha capito che l’austerità sta generando un malcontento crescente, a partire da molti piccoli e medi imprenditori, che questo malcontento non era ancora stato esplicitamente intercettato e che su questa scia poteva ricostruire un’alleanza con la Lega e fare concorrenza a Beppe Grillo (che non è poi così dichiaratamente euroscettico come potrebbe apparire). E anche se il soggetto rimane comunque spregiudicato, inaffidabile e “unfit to lead Italy” quanto volete, tuttavia il rischio concreto è che il tempo gli dia ragione.
A questo proposito dovrebbe far riflettere il fatto che quegli stessi giornaloni che per decenni gli hanno tenuto il sacco, bevendosi la storia della “rivoluzione liberale” e prendendolo con serietà mentre cercava di accreditarsi addirittura come leader della destra moderata, oggi lo additino a principale minaccia per la stabilità dell’Europa. Non che mi interessi difendere l’indifendibile Mr. B, ma da quanto ci siamo detti in questa rubrica appare chiaro che questa storia sia tutta un’enorme panzana.
Sappiamo già, infatti, che i danni fatti dai governi Berlusconi – danni molto grossi sotto altri aspetti – dal punto di vista della crisi macroeconomica non sono assolutamente determinanti: o per lo meno, non sono distinguibili dalla generale inadeguatezza di tutta la classe politica della seconda Repubblica nel suo complesso. Il vero problema è la mancanza di regole nel sistema finanziario privato e, relativamente all’area euro, gli squilibri commerciali nella bilancia dei pagamenti tra paesi membri (cioè il fatto che la esportazioni tedesche verso l’UE non siano bilanciate da altrettante importazioni): certo non sono state le promesse populiste di Berlusconi a far salire il debito pubblico (al contrario – ricordo – negli stessi anni il rapporto debito/PIL scendeva).
Ma se questo è vero, allora consegue giocoforza che non importa cosa pensino oggi gli elettori e non importa neppure chi avrà vinto le elezioni tra qualche mese: quando la dura realtà presenterà il conto, Berlusconi farà bella figura, perché potrà rivendicare di aver preso posizione contro l’austerità e la gabbia dell’euro. A pagarne le conseguenze resterà come al solito il Partito Democratico, questa supposta “sinistra” che ha tradito la sua vocazione storica e oserei dire anche semantica, che ha preferito coltivare le amicizie in alto più che i rapporti sindacali in basso, e che ha imparato ad illuminarsi per le ragioni più opportunistiche della realpolitik, perdendo ogni legame con l’ispirazione ideale della politica.
Ancora una volta, infatti, – e veniamo così all’altro protagonista – il piano di Bersani è stato più semplicistico che astuto. Monti – deve aver ragionato il segretario del PD – è stimato da tutti, eppure non gli manca un certo consenso popolare: quindi copiamo il suo programma di rigore (temperato con qualche minimo provvedimento sociale), mandiamo Monti al Quirinale (così tranquillizziamo l’Europa) e poi potremo governare tranquillamente per cinque anni. In questo modo riusciamo sia a continuare a vivere nel mito della sinistra di Prodi “che ci ha portato in Europa”, sia ad accontentare i nostri cari amici imprenditori, che hanno problemi a pagare meno i lavoratori e a disciplinare i sindacati!
Purtroppo per il nuovo leader della sinistra, fresco di investitura popolare, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Il successo di Monti è stato possibile solo grazie a due condizioni irripetibili:
a) si è concretizzato nel breve periodo (già nel medio periodo si vedono i danni fatti: e il progressivo calo di consensi del premier sta lì a dimostrarlo);
b) non ha dovuto fronteggiare un’opposizione politica.
E’ ovvio, cioè, che la rassegnazione dei cittadini di fronte all’ineluttabilità dell’agenda Monti dipenda molto dall’appoggio incondizionato di tutti i giornali e di tutte le forze politiche. Ma questa concomitanza si può realizzare solo con un governo tecnico da mandare al più presto in soffitta. Nella normale dialettica politica, un governo che metta mano a così tanti tagli e sacrifici, senza che se ne riescano anche solo ad intravvedere i frutti, finirebbe triturato dalle critiche dell’opposizione.
E qui capiamo anche come mai Monti – il terzo incomodo – stia pensando seriamente di scendere in campo: per strano che sembri, deve andare in soccorso al PD. A seconda di come vince le elezioni, infatti, Bersani si può trovare nella condizione di (prima ipotesi) non avere i numeri per governare e quindi dover fare un’alleanza con il PDL (con Berlusconi a fare l’ago della bilancia); oppure di (seconda ipotesi) riportare una grande vittoria e quindi poter governare da solo con Vendola. Ma anche in questo secondo caso, la possibilità di fare nuove manovre lacrime e sangue sarebbe seriamente a rischio: il combinato costituito dalle forti ed inevitabili pressioni sociali e dalla potenza di fuoco mediatica delle televisioni del Cavaliere potrebbe essere troppo duro da reggere per la maggioranza, che finirebbe presto per perdere pezzi all’estrema sinistra.
Serve quindi una stampella di centro, cattolica e tecnica insieme, che sottragga voti alla destra e compatti il futuro governo Bersani. Resta solo da vedere che campagna elettorale sfornerà il PD a questo punto. Monti e Berlusconi sulla vera questione politica del momento, cioè la governance europea e l’euro, sono agli antipodi: ma almeno hanno le idee chiare in termini di programmi elettorali (anche se quello del Cavaliere – si sa – non è mai un impegno).
Ma la sinistra in questo contesto come si colloca? Difficile sostenere Monti per un anno, impegnarsi a proseguire sulla sua strada, continuare a far capire che sarebbe una scelta gradita addirittura per il Quirinale e nel contempo ritrovarselo contro in campagna elettorale. Se Monti ha fatto bene in Europa, allora conviene votare direttamente lui; se non ha fatto bene, allora la sinistra dovrebbe spiegare perché, nonostante questo, lo abbia sostenuto incondizionatamente: e soprattutto perché ora convenga votare il PD. Anche il PDL ha sostenuto Monti, è vero: ma poi ha staccato la spina. E la differenza non è cosa da poco, in campagna elettorale. Pronostico quindi un proseguo logorante per Bersani, come si vede da certe avvisaglie; anche se non credo che il risultato sia in discussione: con ogni probabilità sarà proprio lui il prossimo premier. Certo che, quando c’è di mezzo la sinistra italiana, niente è sicuro.
Andrea Giannini