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Mini job e contenimento dei salari: il precariato formato tedesco

La politica di contenimento in Germania ha prodotto un contratto di lavoro atipico che prevede una retribuzione massima di 400 euro mensili non soggetta al pagamento di tasse o al versamento di contributi


19 Gennaio 2013Rubriche > Penna sagace Banny

Un saldatore a lavoro, di Roberto ManzoliQuesto mese ci stiamo concentrando sulle politiche economiche della Germania, il paese più ricco dell’euro-zona e quindi più volte preso come modello di riferimento. L’obiettivo di questi articoli è cercare di porre l’attenzione su quelli che sono gli aspetti quantomeno opinabili della strategia economica e politica tedesca; aspetti che spesso rimangono taciuti.

La settimana scorsa abbiamo visto che c’è una grande differenza di produttività tra la Germania e il resto dei paesi europei. Questa differenza ha avuto origine dalla politica di contenimento dei salari attuata dal governo Schröder a partire dai primi anni 2000. “Com’è possibile?”, direte voi, “Contenimento dei salari? Ma la Germania non è il paese dove gli operai della Volkswagen guadagnano più di duemila euro al mese?”. Invece è proprio così, accanto a tecnici e operai strapagati ci sono milioni di lavoratori che assomigliano molto ai precari di casa nostra: sono i cosiddetti “mini-jobbers”.

I “mini-job”, incentivati attraverso la riforma “Hartz IV” del 2003, sono una forma di contratto atipica che prevede una retribuzione massima di 400 euro al mese, somma al di sotto della quale il lavoratore non deve né pagare le tasse né versare alcun contributo. Questo fenomeno è tutt’altro che trascurabile in quanto sono più di 7 milioni i lavoratori che hanno questo tipo di contratto. Di questi, 2 milioni combinano il loro mini-job con un’altra occupazione, mentre per i restanti 5 quella rimane la loro unica fonte di reddito. Sebbene dall’introduzione della riforma non sia previsto alcun limite riguardo alle ore lavorate mensili, in molti casi i mini-job vengono considerati ufficialmente come lavori part-time.

Non vi stupirete nel sapere che uno studio condotto dall’Istituto di Economia e Ricerca Sociale (Wirtschafts- und Sozialwissenschaftliches Institut, WSI) ha mostrato come i mini-jobs siano spesso un binario morto per i disoccupati e non una strada verso il lavoro regolare. Vi sono ulteriori studi condotti dall’Istituto per il Lavoro e la Tecnologia (Institut Arbeit und Technik, IAT) che mostrano come i mini-job tendano a rimpiazzare le forme di impiego standard, soprattutto nei lavori poco qualificati.
Tutto questo ricorda molto da vicino quello che è accaduto nel nostro paese con l’introduzione delle forme di lavoro atipiche come il contratto a progetto.

C’è però una differenze fondamentale: i lavoratori tedeschi possono contare su un welfare molto più evoluto del nostro che permette ai mini-jobbers di godere comunque di un sussidio di disoccupazione che permane fino a che non si trova un’occupazione stabile. Cosa succederebbe se, al motto di “Siate più produttivi!”, venissero introdotte nel nostro paese ulteriori forme di contratto atipiche aumentando ancora la precarietà senza introdurre delle nuove tutele per i lavoratori?

Gli squilibri di produttività all’interno dell’eurozona devono sì essere colmati, ma non è possibile far convergere tutti gli altri paesi verso la Germania, a meno che anche la Germania non converga verso gli altri paesi. In parole povere se la Germania non aumenterà il costo unitario del lavoro, ricompensando maggiormente i lavoratori per il proprio contributo alla produzione, allora non ci sarà via d’uscita. Così facendo i lavoratori tedeschi percepiranno salari maggiori e le merci tedesche saranno meno competitive a vantaggio di quelle dei paesi periferici che verranno acquistate proprio dai consumatori tedeschi che, grazie agli aumenti salariali, potranno rappresentare quella domanda di beni di cui tutti i paesi periferici hanno disperato bisogno per uscire dalla crisi. Questo non deve essere visto come una gentile concessione da parte della Germania ma piuttosto come un atto doveroso nel rispetto del trattato di Maastricht che prevede “coordinamento delle politiche economiche degli stati membri” e non una gara a chi è più forte con un solo vincitore e molti sconfitti, tra cui l’idea stessa di un Europa unita.

 

Giorgio Avanzino
[foto di Roberto Manzoli]


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