L'opinione pubblica comincia a interrogarsi sul merito del movimento di Grillo e della sua proposta politica. Ma l'analisi spesso non è all'altezza, né quando si tratta di valutarne il contributo su temi specifici, né quando si deve riflettere sui grandi interrogativi politici
Lunedì Peter Gomez e Marco Travaglio (rispettivamente direttore dell’edizione on-line e vicedirettore dell’edizione cartacea del Fatto Quotidiano) hanno risposto ad una lettera di Vittorio Bertola, consigliere del M5S di Torino. Argomento del contendere era lo stop di Beppe Grillo rispetto all’ipotesi di votare per l’abolizione del reato di clandestinità. L’episodio è noto, mentre lo scambio di vedute tra il politico e i due giornalisti è passato naturalmente in secondo piano: ma riprenderlo può essere molto istruttivo.
La critica di Gomez e Travaglio si basa sostanzialmente su tre punti assolutamente condivisibili:
Questa analisi ha il merito di discutere punti deboli e punti forti rimanendo fuori dal coro degli hooligan pentastellati o dei detrattori a oltranza: ed è rarissimo trovare qualcuno che non sia interessato solo a trattare i nuovi arrivati vuoi come i liberatori della politica italiana, vuoi come dei sovversivi fascisti. Senza nulla togliere a Gomez e Travaglio, però, concedetemi la piccola vanità di far notare che i due arrivano un pelino tardi: tutte queste cose io le avevo scritte tempo fa.
Già un anno fa avevo scritto che il M5S incarnava l’esigenza di recuperare il senso della rappresentanza politica, ma che si affidava per questo ad un’idea di democrazia diretta “telematica” troppo ingenua per funzionare realisticamente. Avevo avuto modo di ribadire che è una colossale ipocrisia quella di ignorare il confronto ideologico tra destra e sinistra, perché questa distinzione incarna i due interessi di base che dividono al fondo qualsiasi società: quello di una maggioranza che ha la sua forza nella quantità e quello di una minoranza che ha la sua forza nel peso specifico (ne riparleremo meglio in futuro). Avevo spiegato, infine, che da questi e altri nodi irrisolti dipendeva la mancata maturazione ideologica del movimento.
Dunque era del tutto pacifico che questa necessaria evoluzione fosse frenata proprio dall’incapacità di Grillo e Caseleggio di coglierne la grande ricaduta positiva, sul lungo periodo, in termini di consenso, e che prevalessero al contrario calcoli elettorali di breve respiro, nella convinzione che nell’immediato futuro occorra limitarsi a strizzare l’occhio ai delusi della vecchia politica, tanto a destra quanto a sinistra. Questa strategia “attendista” può forse tornare utile in questa fase, visto che i partiti tradizionali si stanno distruggendo da soli; ma prima o poi il movimento dovrà capire cosa vuol fare da grande: e l’impressione è che questo i due guru non l’abbiano capito.
Che ci sia qualcosa che non va, invece, dimostrano di averlo capito Gomez e Travaglio. E chissà, forse si potrebbe anche lasciar perdere un attimo quello che dice la Bonev – anche perché, a naso, chi voleva farsi un’idea su Berlusconi forse se l’è già fatta da anni… – per spingersi un po’ più in là. Ci sarebbero da fare, ad esempio, almeno due importanti considerazioni “inattuali”.
Senza dubbio il reato di immigrazione clandestina è «una grida manzoniana»; di sicuro «il decreto sicurezza Maroni e la Bossi-Fini vanno rivisti in molte parti»; certamente per elaborare un’alternativa è necessario «incontrare esperti, magistrati, volontari, comitati di cittadini e immigrati»: insomma, tutto vero; però forse si potrebbe anche notare che l’ansia di Grillo di marcare una differenza dalla sinistra dipende dal fatto che pure da quelle parti il tema immigrazione non è che sia stato gestito granché bene.
Forse si potrebbe anche dire che, dietro al supposto “internazionalismo” e ai bei discorsi sulla accoglienza e la fratellanza che piacciono tanto alla borghesia liberal e ben educata, si nasconde l’interesse di una parte dell’imprenditoria italiana di incentivare l’afflusso di manodopera a buon mercato dall’estero per abbassare le pretese dei lavoratori. E questa cosa – pensate un po’ – a questi stessi lavoratori rozzi e ineducati non piace. Ovviamente non intuiscono il fenomeno complessivo, ma certo si rendono conto di vivere in periferie sempre più degradate, di avere sempre meno potere d’acquisto e di contare sempre meno: cosa che nel passato ha segnato la fine dei partiti ex-comunisti, spingendo gli operai a votare Lega Nord; mentre oggi, in un quadro ancora più difficile, dalla Gran Bretagna alla Grecia, gli episodi di razzismo e le tensioni sociali aumentano.
Dunque sarebbe forse il caso di occuparsi delle storture di questa globalizzazione in cui le potenze industriali sfruttano e impoveriscono il terzo mondo generando flussi migratori che vanno a creare competizione al ribasso tra le classi lavoratrici di quelle stesse potenze.
A voler fare poi un’analisi raffinata, si potrebbe cogliere un grosso problema politico che Grillo indirettamente pone, pur non comprendendolo. Infatti, questo continuo oscillare del M5S tra difesa del sistema che abbiamo ereditato e desiderio di introdurre innovazioni (ad esempio, relativamente alla Costituzione, lo strano rapporto tra le accuse di tradimento lanciate alla vecchia classe politica e certe proposte di modifica) dovrebbe indurre a riflettere sul fatto che, anche nel “nuovo che avanza”, sulle cause della decadenza politica che stiamo attraversando c’è molta confusione d’analisi: ed è proprio per questo che manca una proposta convincente.
Posto che non si possono che criticare le ultime manovre per modificare la Costituzione (perché sappiamo già a quali logiche rispondono), resta comunque il fatto che in effetti il sistema è degenerato, perché è evidente che il meccanismo di rappresentanza politica non solo non rispecchia il paese, ma anzi gli si rivolta contro. Si tratterebbe dunque di capire come questo è successo prima di azzardarci a fare modifiche.
La questione è: è necessario riformare il sistema perché si è rivelato inadatto, oppure, all’opposto, è stato proprio il fatto di non averlo rispettato a creare i problemi? In altri termini, la nostra Repubblica parlamentare e la nostra Costituzione sono datate, oppure siamo noi che le abbiamo tradite?
Personalmente propenderei per la seconda opzione: che però, a ben vedere, non esclude affatto la prima. In effetti, se il punto è che gli Italiani si sono fatti persuadere da promesse fallaci a percorrere strade sbagliate, tanto da mettere in discussione e poi compromettere il sistema di regole ereditato nel dopoguerra, questo significa pur sempre che alla prova dei fatti il sistema ha una falla. E se c’è modo di scardinarlo, allora bisogna creare delle nuove contromisure.
La mia ipotesi è che si debba procedere non certo verso lo smantellamento della Costituzione, ma verso un’estensione e un rafforzamento delle tutele che essa già prevedeva, nel rispetto del suo spirito di fondo. Ma è solo un’intuizione personale: sarebbe utile che si confrontassero pubblicamente persone ben più qualificate di me. E visto che la politica latita, sarebbe bello che fosse il mondo dell’informazione ad avviare urgentemente il dibattito, senza relegarlo in terza pagina per far spazio al cagnolino Dudù.
Andrea Giannini