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La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, conduce un'indagine sulle imprese europee relativa all'orario di lavoro e all'equilibrio tra professione e vita privata
Come ho descritto nel precedente articolo, il mercato del lavoro italiano, confrontato con la maggior parte dei paesi europei, risulta essere caratterizzato da una bassa flessibilità e da una grande disparità tra lavoratori precari e lavoratori a tempo indeterminato. E per quanto riguarda la flessibilità dell’orario di lavoro, in che situazione si trova il nostro paese?
Il miglioramento della flessibilità dell’orario di lavoro è considerato dall’Unione europea come uno degli elementi chiave per ottenere gli obiettivi della strategia di Lisbona attraverso la quale si vuol rendere l’Unione “la più competitiva e dinamica economia basata sulla conoscenza del mondo”. Ogni quattro anni la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro conduce un’indagine sulle imprese europee relativa all’orario di lavoro e all’equilibrio tra professione e vita privata. Vengono prese in considerazione diverse tipologie di flessibilità: orario flessibile, part-time e lavoro straordinario.
1. ORARIO FLESSIBILE
L’orario flessibile, nella sua forma più semplice, permette ai lavoratori di variare l’inizio e la fine della giornata lavorativa secondo le proprie esigenze ma entro certi limiti e senza variare il numero totale giornaliero di ore lavorate. Un meccanismo più sofisticato, la cosiddetta “banca ore”, consente invece di accumulare ore che possono essere utilizzate per ottenere maggiore flessibilità giornaliera o per godere di periodi di riposo retribuito aggiuntivi rispetto alle ferie. Dall’indagine emerge che più della metà (56%) delle aziende europee con più di 10 dipendenti attua qualche tipo di accordo sull’orario flessibile. Alcune aziende utilizzano il meccanismo della “banca ore” per ottenere interi giorni di riposo supplementari, altre utilizzano lo stesso meccanismo ma solo per ottenere ore di permesso supplementari e altre ancora consentono ai lavoratori di variare l’orario di lavoro giornaliero ma senza la possibilità di accumulare ore. Il nostro paese si trova poco sotto la media europea con una percentuale del 49% ma purtroppo le modalità di flessibilità maggiormente utilizzate sono quella più rigide visto che solo il 15% delle aziende utilizza il meccanismo della “banca ore” per ottenere interi giorni di riposo supplementari contro una media europea del 29%. Siamo al pari della Lituania e peggio di noi fanno solo Malta, Cipro e Bulgaria e siamo ben lontani dalla Finlandia dove addirittura il 66% delle aziende utilizza questo meccanismo.
2. PART-TIME
Un’altra forma di flessibilità è il lavoro part-time che viene utilizzato dal 67% delle aziende europee. Questa tipologia di lavoro è particolarmente diffusa in Olanda (91% delle aziende), ma anche in Belgio, Germania, Svezia e Regno Unito (circa 80% delle aziende) e, in metà della aziende nelle quali è applicato, coinvolge più del 20% del personale. Il nostro paese è in media con il resto dell’Unione relativamente alla percentuale di aziende che prevedono il lavoro a tempo parziale, ma, laddove applicato, coinvolge una percentuale esigua di lavoratori.
3. LAVORO STRAORDINARIO
Infine, per quanto riguarda il lavoro straordinario, in media nei paesi dell’Unione europea il 35% delle aziende compensa le ore di straordinario economicamente, il 23% le compensa con ore di permesso supplementare, il 37% attua entrambe le forme di compensazione e il 4% nessuna. Nel nostro paese la forma di compensazione maggiormente utilizzata è quella economica (67%), ennesimo dato che conferma la rigidità dell’orario di lavoro nelle nostra aziende.
Un’ulteriore forma di flessibilità, anche se decisamente più “estrema” rispetto alle precedenti, è rappresentata dall’aspettativa. In Italia vi sono notevoli differenze nella regolamentazione di questo strumento di flessibilità in quanto essa dipende dai contratti collettivi nazionali. Ad esempio per i lavoratori metalmeccanici sono necessari dieci anni di anzianità aziendale per poter richiedere al massimo sei mesi di aspettativa. In questo caso l’Italia è indietro anni luce rispetto ai paesi europei più avanzati: in Finlandia è possibile farne richiesta una volta ogni 5 anni se si lavora da almeno 10 anni e si è lavorato per almeno tredici mesi per lo stesso datore di lavoro, mentre in Francia sono sufficienti 6 anni di carriera lavorativa e 36 mesi di anzianità aziendale.
Insomma, più flessibilità e meno precarietà. Non è un caso che i paesi che stanno soffrendo meno la crisi siano quelli che meglio hanno interpretato le linee guida della strategia di Lisbona… Passi significativi in questa direzione porterebbero in Italia non solo una migliore qualità della vita per i lavoratori, ma anche benefici alle aziende.
Giorgio Avanzino
[foto di Diego Arbore]