Bisognerebbe preoccuparsi di rifondare una classe politica mediocre, non di sostituirla con il sapere dei "tecnici"
Siamo tutti in attesa di vedere Monti all’opera. Stiamo tutti aspettando fiduciosi che si concretizzino i migliori auspici (come i tagli dei privilegi della casta o una tassazione che gravi più sui patrimoni e meno sui redditi da lavoro), ma anche che si smentiscano le peggiori preoccupazioni (tipo l’inadeguatezza di Mister “Conflitto d’Interessi” Corrado Passera, oppure del nuovo ministro della giustizia, che in passato non solo faceva l’avvocato dei mafiosi e dei poteri forti, ma che rilasciava anche inquietanti dichiarazioni contro le intercettazioni e contro i pentiti).
Nel frattempo, però, possiamo parlare d’altro. C’è ad esempio un aspetto rilevante dell’attualità che ha a che fare proprio con la formazione del nuovo governo e che è rimasto un po’ sottotraccia: la funzione della politica.
Da quando è arrivata la lista dei nuovi ministri, infatti, a parte il sospiro di sollievo per il fatto che non vi erano stati inseriti degli inquisiti (il che è un risultato non da poco…), l’uomo della strada ha esclamato: “finalmente persone competenti”. Anche i giornali e i media non sono andati poi così distanti da questa valutazione. Tant’è che quando qualcuno ha cominciato a lamentarsi per la mancanza di politici all’interno di questo nuovo esecutivo, le ironie si sono sprecate.
A tutti è parso che un governo tecnico, seppure non eletto direttamente dai cittadini, avrebbe potuto fare sicuramente meglio di una classe politica largamente compromessa e con un credito di fiducia ridottissimo. A tutti è sembrato che un governo di “tecnici”, cioè di persone di comprovata esperienza nel loro mestiere, fosse una soluzione tanto banale quanto giusta: cosa c’è di meglio di un economista all’economia, di un ammiraglio alla difesa, di un avvocato alla giustizia o il presidente del CNR all’istruzione?
In realtà le cose non sono così facili. Innanzitutto bisogna distinguere tra questa classe dirigente e la politica in generale. Se pensiamo a questa classe politica, ci viene effettivamente da sorridere a paragonare l’attuale Ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi, al ministro uscente Sandro Bondi, che, a parte le indubbie doti poetiche, aveva scarsa esperienza e ha avuto scarsi risultati. Difficile pensare che Ornaghi, pur non avendo fatto ancora nulla, possa far peggio del suo predecessore, e questo sembrerebbe avvalorare l’idea che la competenza dei tecnici sia preferibile all’inconsistenza dei politici.
Ma se ci astraiamo dal particolare e consideriamo la questione in senso generale, la valutazione cambia. Non c’è dubbio che questi politici oggi si lamentino solo perché temono che un eventuale successo di Monti metta in risalto la loro assoluta inadeguatezza. Eppure, in condizioni normali, in una democrazia che funziona, c’è un motivo ben specifico per cui i governi devono essere composti da politici, cioè da persone che hanno una comprovata esperienza non tecnica, ma politica: il motivo è che le decisioni che sono chiamati a prendere sono non tecniche, ma politiche.
E’ un errore ritenere che basti mettere un eccellente medico o un bravo dirigente sanitario alla sanità per avere ospedali pubblici che funzionano. Innanzitutto, l’esperienza tecnica di un singolo è spesso limitata rispetto a quelle che sono le funzioni, molto più ampie, di un ministero: ad esempio un avvocato è esperto di come si difende una parte in un processo, ma non è detto che sappia valutare quali sono i problemi dell’amministrazione della giustizia italiana nel suo complesso. Secondariamente, anche ammettendo un esperto di ampissime conoscenze e vastissima profondità di giudizio, non è detto che non si possa sbagliare: il mondo è premio di premi Nobel di tutte le discipline che hanno formulato teorie che poi si sono rivelate semplicemente errate o di esperti che divergono sullo stesso argomento.
Il che dovrebbe insegnarci che la Verità rivelata appartiene forse agli dei, ma che nessun uomo è tanto competente da darci la sicurezza che non si sbaglierà quando dovrò fare delle valutazioni.
Monti è uno stimato economista: ma chi ci dice che le sue idee non siano sbagliate? Mi si obietterà che la garanzia assoluta non la può offrire nessuno, ma che una persona offrirà tante più garanzie quanto più è competente. Ed è vero. Ma allora come stabiliamo chi è più competente? Ad esempio, la scelta dello stesso Ornaghi è stata contestata perché è il rettore di un’università privata: perché dovrebbe sapere come si gestisce il patrimonio pubblico? Come si vede, “competenza” è una bella parola, ma nel concreto mette non poche difficoltà. Inoltre resta la questione di fondo: un premier e un ministro sono responsabili per decisioni politiche e non tecniche. Un economista può avere anche una straordinaria visione dell’economia, ma un Ministro dell’Economia si deve occupare di ripartire le risorse, di far quadrare il bilancio di uno Stato, di stanziare dei fondi, di controllare il gettito e molte altre cose ancora, sapendo che ogni decisione che prenderà accontenterà qualcuno e scontenterà qualcun altro.
Se devo decidere di rifinanziare una missione di guerra oppure di destinare risorse al sostegno nell’istruzione pubblica, non sto prendendo una decisione tecnica, ma politica. Devo tenere in conto che nel primo caso potrei scontentare gli alleati, provocano conseguenze diplomatiche, mentre nel secondo caso verrei meno ai compiti dello Stato e mi attirerei le proteste di presidi, insegnanti e genitori. Devo scegliere anche tra un problema morale o una questione di duro realismo. Questo è il lavoro di un politico.
Un conto è dire: “facciamo la riforma delle pensioni”; un altro conto è riuscire a farla, vincendo le resistenze di chi si oppone, i dubbi di chi non si fida, i veti incrociati, i distinguo degli alleati, eccetera. Il bravo politico sa fungere da collettore delle diverse esigenze sociali, promuovendo la soluzione più virtuosa con i minori sacrifici possibili. Ha il carisma, la statura morale, il rispetto e la parola per farsi ascoltare e sapersi relazionare con la gente nelle piazze e con gli altri politici nei palazzi. Queste qualità una volta si acquisivano con la gavetta e con un meccanismo di selezione della classe politica che favorisse i risultati e non il clientelismo. Non c’è dubbio che oggi non sia più così; ma proprio per questo dovremmo preoccuparci di rifondare la politica e non di sostituirla col sapere tecnico.
Dello stesso Monti, che deve misurarsi con un Parlamento in apparenza entusiasta, ma nella pratica pronto ad impallinarlo alla prima occasione, diremo un gran bene solo se dimostrerà di sapersi comportare da grande politico, perché vorrà dire che sarà riuscito a far passare i provvedimenti migliori rimanendo a galla. Se invece vorrà fare il professore, magari sarà la Saggezza personificata, ma tornerà a casa molto presto.
Andrea Giannini