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Privilegi della Casta? Ci sono cose più importanti da affrontare

Le priorità: una buona legge elettorale, un codice etico più severo e scardinare il potere dei partiti basato su finanziamenti generosi e poco trasparenti


21 Dicembre 2011Rubriche > "Polis" Critica Politica

Non c’è dubbio che questa classe politica abbia accumulato negli anni privilegi faraonici. Tant’è che  ormai si parla dei nostri politici usando abitualmente il fortunato termine di “casta”, suggerito dal best-seller omonimo dei giornalisti del Corriere della Sera Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

Anche grazie a inchieste come questa gli Italiani hanno cominciato a prendere coscienza del fatto che una grande parte della politica ha perso di vista il senso del proprio lavoro e della propria missione per dedicarsi alla cura dei propri interessi personali e al mantenimento dei propri privilegi. Non è un fatto inedito: lo riscopriamo ciclicamente.

Primo fu Berlinguer nel ’81 con la questione morale; poi venne Tangentopoli nel ’92 con la corruzione dei partiti. Ci risvegliamo a fiammate, salvo poi riaddormentarci ogni volta. Anche se rimane nella gente un senso viscerale di disgusto e disillusione per la politica, tutto viene come rimosso, dimenticato, archiviato, nell’illusione che, dopo essersi sfogati, basti non parlarne più per riprendere una vita normale. E invece il problema si ripresenta sempre.

Per chi ha seguito da vicino la politica nel ventennio berlusconiano, sa benissimo che, a destra come a sinistra, c’erano molte ragioni per rendersi conto di come la classe politica non si fosse affatto rigenerata. Per tutti gli altri si ricomincia nel 2007, in sordina, quando esce, appunto, La Casta di Rizzo e Stella.

Nel 2008 scoppia la crisi delle banche anglosassoni, ma comincia anche il quarto governo Berlusconi, che rimarrà negli annali come uno dei momenti più bassi per la dignità della nostra classe politica, a causa di proposte di legge sempre più liberticide, di politici sempre più impresentabili, di comportamenti pubblici sempre più spregiudicati e di scandali sempre più numerosi.

Infine, con il paese sull’orlo del default, Berlusconi si dimette e arriva Monti con una manovra “lacrime e sangue” di cui abbiamo parlato più volte. Ed è a questo punto che, come dicevano Gino e Michele, «anche le formiche s’incazzano».

Per anni abbiamo tollerato dai nostri politici cose che in nessuna democrazia conosciuta si tollererebbero; cose che sono possibili solo nel paese dei feudi, delle signorie e dei potentati, del «io so’ io, e voi non siete un cazzo», del «è normale che chi ha potere lo usi: lo faresti anche tu». Poi improvvisamente, quando la situazione si fa tragica, imbracciamo i forconi.

E’ in quest’ottica che va considerata la nuova campagna “anti-casta” che sta appassionando il paese: da una parte cittadini indignati e organi di stampa improvvisamente conquistati alla causa che chiedono l’abolizione dei vitalizi e la riduzione degli stipendi, dall’altra politici arroccati nella difesa spudorata dei privilegi acquisiti. Per alcuni tutto ciò sembrerà una grande conquista, ma purtroppo lo è solo in parte: vale a dire che, continuando su questa strada, probabilmente otterremo poco, faremo danni peggiori e poi ci riaddormenteremo nuovamente.

Infatti, se è senz’altro giusto chiedere che i nostri mille parlamentari partecipino ai sacrifici del paese rinunciando a un po’ dei loro costosi privilegi, questo non può bastare. Non è un’eventuale rivalsa che ci dovrebbe appagare. Il fine dovrebbe essere piuttosto quello di avere una classe politica onesta ed efficiente. Per questo pensare solo ad abolire i privilegi non può portarci lontano.

Ad esempio, sul tema dei vitalizi abbiamo già commesso degli errori. Scandalizzati dalla cronaca di Stella e Rizzo, che raccontava come i parlamentari prendessero la pensione solo per il fatto di essere stati eletti e senza versare i contributi che tutti gli altri cittadini sono tenuti a versare per legge, abbiamo ottenuto a furor di popolo l’obbligo minimo di una legislatura: ora un parlamentare per avere la pensione deve fare almeno 5 anni in parlamento. Ma il vitalizio non è di per sé un privilegio: è una garanzia di democrazia.

Per la Costituzione i parlamentari sono in carica senza vincolo di mandato: significa che non devono rispettare accordi politici, ma solo votare per il bene dei cittadini. Per evitare che potessero subire ritorsioni per questo, si garantiva che, terminato il loro incarico, avessero comunque di che vivere: ecco il senso del vitalizio. Invece con il limite dei 5 anni cosa abbiamo ottenuto? Abbiamo ottenuto i Razzi e gli Scilipoti, cioè persone che, solo per garantirsi il vitalizio (si veda il video-confessione trasmesso da Nuzzi su LA7), il 14 dicembre 2010 tennero in piedi una legislatura già finita e una maggioranza risicata che non prenderà più alcuna misura seria, portando lo spread a 570 punti e il paese sull’orlo del fallimento. Un bel risultato.

Chiedere l’adeguamento degli stipendi dei parlamentari alla media europea, invece, è senz’altro più sensato. Eppure io non mi scandalizzo tanto per il fatto in sé che i miei politici siano i più pagati di Europa: mi andrebbe anche bene, se fossero i migliori. Il problema è che sono i peggiori. Se li pago meno, certo sono più contento: ma resto comunque molto preoccupato per la loro scarsa affidabilità.

Insomma, la lotta ai privilegi va certamente bene, se è fatta con criterio: il politico non deve avere nulla che non sia strettamente necessario per la sua funzione. Ma se vogliamo delle regole che servano ad avere politici migliori, dovremmo preoccuparci di chiedere una buona legge elettorale, di esigere un codice etico molto più severo e soprattutto di scardinare il sistema di potere dei partiti, che si basa su un finanziamento pubblico troppo generoso e un finanziamento privato poco trasparente.

I partiti, in barba a un referendum votato da una larghissima maggioranza di cittadini, si auto-assegnano rimborsi elettorali astronomici; poi, grazie ad incredibili agevolazioni fiscali, raccolgono anche denaro privato tramite le fondazioni, che non hanno bilanci pubblici (memorabile la giustificazione di D’Alema: «c’è la privacy!»).

E’ così che diventano troppo vicini a una certa imprenditoria, così che controllano la Rai, Finmeccanica e tutte le altre aziende pubbliche, che pilotano gli appalti pubblici e che prospera il virus del conflitto di interessi.

Ecco dove bisognerebbe dirottare la nostra attenzione e dove sono le regole da cambiare. Eppure, anche le regole migliori del mondo non bastano a regalarci una buona politica. Contro i cattivi politici c’è solo un metodo infallibile, già sperimentato e vecchio di centinaia d’anni: non votarli.

Andrea Giannini


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