I risultati delle elezioni hanno evidenziato l'incapacità di gran parte degli opinionisti italiani di stare al passo con i cambiamenti. Bersani, confuso e incoerente, continua ad auto-affossarsi
Se oggi la situazione politica appare ingarbugliata ed indecifrabile, ciò non dipende dal fatto che la realtà è complessa. Lo si deve piuttosto al mondo dell’informazione, che ha in gran parte fallito il compito di elaborare un’interpretazione convincente dei fenomeni; e che per questo ieri non è stata capace di vedere il cambiamento che stava arrivando, così come oggi è incapace di inscatolare gli avvenimenti nelle anguste categorie che si era creato. Non stupisce che fuori dall’Italia sia difficile capire come un comico possa diventare l’ago della bilancia del governo di un paese: ma chi in Italia ci vive, si sarebbe dovuto rendere conto già da lungo tempo che i comici per far ridere raccontavano la verità e i giornalisti per raccontare la verità facevano ridere.
Invece questa curiosa genia fatta di opinionisti, notisti e intellettuali si è fatta trovare ancora una volta impreparata: e a questo punto c’è il fondato sospetto che pochi di questi sappiano fare davvero il loro mestiere. Un mestiere, a mio modesto avviso, nobile, difficile e non privo di una certa utilità (contrariamente a quanto pensa probabilmente lo stesso Beppe Grillo); un mestiere che richiede non solo di saper trattare l’attualità, ma anche di saperla contestualizzare alla luce di dinamiche più profonde di lungo periodo; un mestiere che richiede quindi sensibilità e intuizione, ma anche un’ ampia preparazione culturale e storica – ecco perché in questo caso si può ben dire che “uno non vale uno”.
Gli opinion makers di casa nostra tendono spesso a schiacciarsi su un presente che quasi sempre li coglie impreparati, e che quindi li costringe a tentativi affannosi di giustificare a posteriori quello che prima non avevano saputo intuire; mentre nell’errore opposto cadono quelli a cui piace bearsi di ripetere la lezioncina imparata a memoria all’università, magari sui pregi del “libbbbberalismo” (più “b” ci sono, più si è “liberali”). E questi sono quelli onesti.
C’è poi la categoria di gran lunga più diffusa di quelli le cui opinioni tendono a coincidere misteriosamente con gli interessi del datore di lavoro o degli amici altolocati; gente che spesso non ha nemmeno bisogno di vendersi, perché, come è già stato detto, viene via gratis. Appartengono a questa categoria anche gli “opinionisti terroristi”: sono quelli che “mamma, li populisti!”, quelli che “Grillo è come Mussolini!”, quelli che “uscire dall’euro ci porterà la carestia, la pestilenza e l’angelo della morte!”, quelli che “ci intercetteranno tutti!”, quelli che “il giustizialismo strisciante” e anche quelli che “la famiglia è uomo e donna, e i gay violentano i bambini!”. Insomma avete capito il genere: si tratta di persone per le quali non serve argomentare, perché è più facile terrorizzare la gente col vecchio adagio che sulla strada nuova si sa quel che si perde, ma non si sa quel che si trova.
Ciò non significa – ad uso e consumo di quelli la cui mamma è sempre incinta – che tutto quanto è nuovo vada bene, che non occorra prudenza e che non ci possano essere rischi dietro l’angolo: tutt’altro! Ma in certi casi è evidente che l’intento non è sostenere una tesi con delle argomentazioni, quanto piuttosto spaventare la “brava gente” per indurla ad una scelta conservatrice: ed è per questo che si dipinge il futuro a tinte fosche, mentre si tralascia di sottolineare adeguatamente quanto talvolta sia difficile, disperata e terribile anche la stessa realtà presente. D’altra parte, pure su questa rubrica non sono mancati errori: ma almeno si è sempre fatto lo sforzo di una riflessione laica sui problemi. E se c’è una visione di parte, sapete comunque che è la mia: e di nessun altro.
Così l’analisi che avevo fatto a suo tempo del fenomeno Grillo-M5S potrà non essere condivisa: ma almeno è chiaro che non è dipesa da simpatie personali o dall’onda del momento. Tant’è che oggi posso tornare tranquillamente a ribadire quello che avevo detto allora: cioè che il M5S, come dice il nome, è un movimento e non un partito (e questa è sia un forza, sia una debolezza); che non ha un’ideologia di riferimento, né una struttura (e questo è un problema per la sua tenuta); che è radicale ma non eversivo; ed infine che oscilla tra il desiderio di portare a compimento la Costituzione e la democrazia (un primo successo in questo senso è la concreta messa in discussione della politica dei “notabili” di ottocentesca memoria) e un “modernismo” o “giovanilismo” piuttosto incosciente.
Questa ricostruzione ha già dentro quasi tutta la più stretta attualità. E tra la altre cose ha il non secondario pregio di risparmiarmi la parte assai stucchevole di quello che alza il ditino ad ogni sparata inconsulta del comico.
Immagino però che i più non siano interessati tanto a una riflessione generale, quanto piuttosto a sapere se Grillo si alleerà con Bersani, se andremo presto a votare e, nel caso, cosa succederà dopo. Anche in questo caso, tuttavia, quello che si può dire già si sa.
La settimana scorsa non avevo preso nemmeno in considerazione l’ipotesi di un governo Bersani-Grillo; non tanto perché fossi consapevole dell’intransigenza del mio concittadino, quanto perché era e resta evidente che si tratti di un’ipotesi impraticabile. Grillo rifiuta ogni fiducia, e questo è un dato di fatto che mette fine ad ogni discussione; ma se anche accettasse un’alleanza sulla base dei famosi 8 punti, ne ricaveremmo davvero quella “governabilità” che è usata come giustificazione di tutta l’operazione? Ovviamente no.
Fino all’altro giorno i due si davano allegramente del “morto vivente” e del “fasssista” a vicenda. Nel frattempo si metteva in croce il povero Vendola affinché promettesse di non ripetere gli ormai famosi “scherzetti” di Bertinotti che contribuirono a far cadere ben due governi di centro-sinistra (al netto dei vari De Gregorio).
Ora improvvisamente, se poteva essere un rischio Vendola, non lo sarebbe più Grillo? Si può pensare davvero che quello che non riuscì a Prodi con 281 pagine di programma, potrebbe riuscire a Bersani con 8 punti, per giunta a fronte di un “alleato” ben più combattivo e numeroso? Che sia pura follia lo si capisce anche dall’atteggiamento dello stesso segretario del PD, che pronuncia parole come “sfida al M5S” e “prendersi le proprie responsabilità” con un tono talmente seccato e polemico, da non lasciar presagire la minima possibilità di una lunga e duratura collaborazione. Il realismo impone di dire che un eventuale governo PD-M5S, per incompatibilità e antipatie reciproche, durerebbe molto poco e manderebbe a catafascio ogni velleità di governabilità.
Bersani e i suoi avrebbero fatto meglio a evitare di impiccarsi al mantra della stabilità di governo: un esecutivo sicuro e compatto è sicuramente desiderabile, ma anche la volontà degli elettori non va trascurata. Se il responso delle urne ha diviso il parlamento in tre forze tra loro inconciliabili, inutile strapparsi la veste: si può benissimo ammettere pubblicamente che bisogna tornare a votare. Anzi, il PD avrebbe avuto tutto il tempo di studiare una strategia aggressiva per tornare in carreggiata. Ed invece ha preferito agitare lo spauracchio della “governabilità” col solito intento di spaventare la gente attraverso i presunti limiti politici del M5S. Purtroppo questi dirigenti non si vogliono rassegnare alla legge di Murphy: ogni manovra del PD per ottenere un risultato politico si traduce in un effetto uguale e contrario.
Bersani continua a predicare il bene di “sto paese qui”, si strappa i capelli (salvo poi rendersi conto che l’operazione è inutile), fa e disfa punti su punti, lancia “sfide” a Grillo e ne ottiene in tutta risposta una sonora pernacchia; mentre la gente capisce quello che c’è da capire: il PD, se insegue le idee del M5S, allora ha sbagliato i temi della campagna, non ha una coerenza e cambia agevolmente posizione a seconda della possibilità di creare alleanze di governo. Risultato: i sondaggi dicono che Grillo sta salendo ancora.
Ma quello che più conta – e che a Bersani probabilmente sfugge – è che Grillo vince qualunque cosa accada. Vince se va al governo con i numeri per attuare il proprio programma; ma vince ancora di più se va all’opposizione, perché il momento difficile e questi dirigenti di sinistra inconcludenti e senza realismo farebbero verosimilmente, sul lungo periodo, il suo stesso gioco. C’è un solo scenario che rende incerto il futuro di tutti: un ritorno alle urne che, con la stessa legge elettorale di oggi, riproponga lo stesso esito di oggi. Ma di questa eventualità è ancora presto per parlare.
Andrea Giannini