Dopo le primarie del Pd, credo che gli scenari per il 2013 rimangano gli stessi: o un governo politico che prende ordini dalla BCE, oppure un Monti-bis (il quale gli ordini non ha bisogno neanche di farseli dare: è telepatico)
L’altro giorno mi telefona mia madre. Solite cose: come stai, cosa ti fai da mangiare, sei ancora vivo, eccetera. Dopodiché l’attualità: «Hai visto le primarie del PD?». Le rispondo che le ho seguite un po’ distrattamente e che non conosco nemmeno bene le cifre. «Ma come?», mi dice lei, «proprio tu non ti interessi di queste cose?». Obietto che per potersi interessare bisognerebbe che ci fosse qualcosa di interessante: e per questa battutina acida, ovviamente, mi sento dire che sono il solito disfattista, che non mi va mai bene niente, che c’è stata una grande partecipazione, che la gente ha voglia di votare, che è stato uno smacco per Grillo, più altri qualunquismi vari ed eventuali.
Intuisco subito allora come, nonostante tutte le mie raccomandazioni, mia madre non abbia perso l’abitudine di tenere il televisore acceso sul TG1. Io ci provo a spiegare a quella brava donna che certe “notizie” non vanno prese per oro colato: ma non c’è verso, perché io sono il figlio saputello e lei deve dimostrarmi che anch’io posso avere torto. Vabbè, che ci volete fare? La mamma è sempre la mamma: se ogni tanto non trova qualcosa da ridire sui figli, che ci sta a fare?
Dinamiche familiari a parte, però, sarebbe buona cosa non restare appesi a tanto clamore, se poi dietro non c’è nulla. Fino alla settimana scorsa i sondaggi davano il Partito Democratico tra il 28 e il 30 % (comunque in ascesa) e virtualmente prima forza del paese. Niente di strano: per moltissima gente, se non si vota a destra (e sarebbe roba per stomaci forti, di questi tempi…), allora vuol dire che si deve votare a sinistra: quindi PD. Vale la pena ricordare, però, che siamo sempre a una percentuale inferiore rispetto a quella delle ultime elezioni politiche, nel 2008, quando, candidato premier Walter Veltroni, i “progressisti” (si fa per dire) raccolsero il 33,7 % dei voti. E in quell’occasione, tra l’altro, persero miseramente (il PDL prese il 38,2 %).
Ciononostante bisogna ammettere che il “fattore-primarie”, unico evento degno di nota in un panorama altrimenti dominato dalla monotonia tecnica, ha inevitabilmente catalizzato l’attenzione generale. Ma che si siano rivelate questo clamoroso successo, questo momento di alta partecipazione della società civile, tanto da segnare un arresto per l’avanzata della famigerata “antipolitica” (che poi non si è capito bene cosa sia), è tutto da dimostrare. A quanto pare, infatti, i votanti si sono rivelati alla fine solo 3,1 milioni. Nel 2007, quando tutti sapevano che bisognava solo ratificare la candidatura di Veltroni (75,8 % dei consensi), i votanti furono 3,5 milioni. Nel 2005, quando vinse Romano Prodi (74,1 % dei consensi: anche allora un verdetto già scritto), si presentarono ai gazebo 4,3 milioni di persone (i dati basta andarseli a leggere su Wikipedia). Quindi l’aperto ed incerto duello tra Bersani e Renzi non è bastato a far segnare un trend positivo: anzi, la partecipazione al voto si è mostrata più o meno in linea con il gradimento (sotto i livelli storici) già espresso dai sondaggi. Perché allora improvvisamente la stampa si è messa a gridare al miracolo?
Un po’ per convincere la gente che la politica non è morta, nella speranza che ci creda (e cercando così di tirare l’ennesima stoccata al solito Grillo); un po’ perché il miracolo, tutto sommato, c’è stato davvero: non è un mistero, infatti, che molti si aspettassero un risultato ben peggiore. Detto questo, resta ancora aperta la questione più importante: il risultato delle primarie darà una svolta alla politica italiana?
Ecco, sarà anche che sono disfattista, come dice mia madre: ma su questo argomento rimango parecchio scettico. E’ vero che, se vince Renzi, nelle alte e segrete stanze ci sarà un piccolo terremoto, perché gli interessi arroccati attorno al vecchio gruppo dirigente dovranno riposizionarsi. Ma poi? Cos’altro c’è dietro la sfida tra i due leader, a parte appunto lo scontro tra gruppi di potere e la contrapposizione, non particolarmente esaltante, tra “rottamatori” e “usato sicuro”? Mistero.
A ciò si aggiunga che, ammesso e non concesso che il centro-sinistra (PD + Vendola) riesca alla fine a governare da solo (cosa molto difficile), anche qualora ciò fosse possibile, cosa cambia, se poi le regole di bilancio (e quindi le scelte di governo) sono imposte dalla BCE con una letterina? La gente continua ad aggrapparsi all’illusione che la cura Monti stia per finire e che, insieme con la cara vecchia politica, torni a breve anche la ripresa economica. Ma tutti in Europa sanno che le cose non stanno così, anche se il governo si ostina a negare la realtà (a proposito, non vi viene in mente quel tale che asseriva che i ristoranti erano sempre pieni?). La verità è che siamo solo agli inizi: di tagli ne vedremo ancora tanti, come ci ricordano ogni giorno.
E’ per questo che l’Europa si fida solo di Monti “Mani di Forbice”; il quale non a caso in questi giorni è al centro di uno scambio di amorosi sensi col Presidente Napolitano, che non perde occasione per accordargli stima e fiducia (e che, se non fosse per la Costituzione sulla quale ha giurato, lo farebbe Re d’Italia). Rassegnatevi. Gli scenari più probabili sono: o un governo politico che prende ordini dalla BCE, oppure un Monti-bis (il quale gli ordini non ha bisogno neanche di farseli dare: è telepatico). Per questo vado dicendo già da parecchio tempo che, prima di discutere di ogni altra cosa, bisognerebbe rimettere in discussione i vincoli europei. Purtroppo la verità è che i primi ad essere contenti di farsi dettare la linea dall’Europa sono gli stessi politici, che in un colpo solo si manlevano da oneri e responsabilità (“ha fatto tutto l’Europa: non c’entriamo niente, noi!”). E difatti, quando sono interpellati sull’argomento, sciorinano le solite supercazzole: “gli Stati Uniti d’Europa” (e come no!), “il sogno europeo” (infatti stanno ancora dormendo), o al più una negoziazione con la Germania per ottenere un fantomatico “allentamento della stretta di austerità”, come ha proposto Bersani. Solo che doveva essere quello interpretato da Crozza: «Oh, ragassi: fateci spendere un pochettino! Siam mica qui a mettere il perizoma al toro da monta».
Andrea Giannini