Non importa che abbiate fiducia nella persona o meno: quello che è importante è che l'istituzione sta progressivamente travalicando i suoi confini con la scusa dell'emergenza e della crisi
Di questi tempi prendersela con il Presidente della Repubblica va molto di moda. Ma bisogna ammettere che non si tratta solo di propaganda politica. Benché a Giorgio Napolitano non si possano imputare grandi strappi, sostanzialmente non c’è alcun dubbio che sia lui la vera guida politica dell’Italia: e questa, a ben vedere, è già una forzatura.
L’azione politica, fin tanto che è in vigore questa Carta Costituzionale, è promossa dal governo, cioè da chi è stato votato dai cittadini. Invece al Presidente della Repubblica, il quale viene eletto dalle camere, è riservato un ruolo prevalentemente istituzionale: ciò significa che, pur avendo importanti funzioni di rappresentanza, supervisione e ratifica, non ha il compito di intervenire direttamente nel dibattito politico e nell’azione legislativa.
Tra le sue attribuzioni rientra il potere di nominare «il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri» (art. 92); ma nulla che riguardi nello specifico i provvedimenti legislativi di un governo. E a differenza di quanto avviene negli USA, in Italia il Capo dello Stato non rappresenta il potere esecutivo. Certo, «prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione»; tuttavia «se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata» (art. 74). Di nuovo, dunque, appare chiaro come, da un punto di vista politico, il Presidente della Repubblica abbia facoltà di fare pochi e limitati interventi.
Tuttavia non pare davvero che l’azione di Napolitano sia improntata a questo spirito. Certo, non ha mai obbligato nessun altro organo costituzionale a fare alcunché (e ci mancherebbe altro, sarebbe un colpo di Stato); né gli si vuole impedire di parlare o lanciare moniti. Resta il fatto che si è avventurato con forza a caldeggiare soluzioni, a fare proposte, a intervenire nel vivo del dibattito politico come nessun altro Presidente si era preso la briga di fare. Per di più la debolezza della classe politica nel mezzo di una crisi economica e le particolari condizioni che hanno portato Napolitano al suo secondo mandato rafforzano il suo ascendente politico, rendendo ogni suo richiamo sempre più forte e ogni possibilità concreta di metterlo in discussione sempre più remota.
Né si può dire che questo onere sia subito passivamente. Al contrario, appare evidente che il Presidente si è messo in testa di essere l’ultimo baluardo contro la deriva del paese. Basta ricordare le sferzate che ha riservato al Parlamento in occasione del discorso che sancì la sua rielezione e le precise condizioni dettate allora («Se i partiti saranno di nuovo sordi trarrò le mie conseguenze»; ossia “ora fate come dico io, se no me ne vado e poi vediamo come ve la cavate da soli…”). Ancora l’altro giorno è bastata una brevissima battuta informale per confermare lo sprezzo riservato a questa classe politica e il senso di superiorità morale che Napolitano si attribuisce al confronto.
Su tanti temi, poi, si permette di indicare indirizzi precisi intollerante ad ogni critica. Ad esempio, non si limita a segnalare l’emergenza carceri, ma suggerisce anche delle soluzioni: «La prima misura su cui intendo richiamare l’attenzione è l’indulto che non incide sul reato e può applicarsi ad un ambito esteso». Affermazioni chiare come queste, nel contesto sopra delineato, sono consapevolmente tese a condizionare il dibattito politico. Lo stesso dicasi per intromissioni di altro tipo, quali la nota vicenda intercettazioni.
Non basta. Le soluzioni politiche alla crisi recano la chiara impronta del Presidente della Repubblica: è stato Napolitano a volere Monti, a bollare come “populista” chiunque (da Grillo a Berlusconi) abbia osato mettere in discussione questa Europa (i famosi “vincoli ineludibili”), a volere fortemente le larghe intese come unica risposta per traghettare il paese fuori dal pantano. Addirittura si è inventato e ha patrocinato un collegio di “saggi” per le riforme, cui ha chiesto di proporre soluzioni un po’ per tutto: dagli aiuti alle PMI fino alla riforma della Costituzione.
Questo ultimo punto è particolarmente rilevante. A proposito dei delicati interrogativi che sollevavo la settimana scorsa, ossia se al nostro sistema istituzionale possa essere imputata qualche colpa nella genesi della crisi attuale, il Presidente Napolitano e gran parte della classe politica non sembrano avere dubbi: senza alcuna discussione pubblica e senza che vengano addotte ragioni specifiche, è stato stabilito che il nostro sistema è troppo pesante e troppo lento, e che pertanto si impone una svolta “decisionista”.
E’ questo lo scopo delle cosiddette “riforme costituzionali”, facilmente desumibile da quello che è scritto sul sito della Camera. Più potere all’esecutivo e meno controlli è la morale che sta dietro ad espressioni quali: «superamento del bicameralismo perfetto», «introduzione di un procedimento legislativo con una doppia deliberazione conforme solo in casi limitati», «rafforzamento della stabilità di governo», e «accentuazione del primato del Presidente del Consiglio nella compagine di governo». E’ la famosa repubblica presidenziale, che nei fatti Napolitano sta già (impropriamente) anticipando e dei cui benefici effetti tanto si favoleggia, senza che però si sia mai stabilito se davvero la lentezza del vecchio sistema sia l’origine di tutti i nostri mali. Di sicuro c’è solo che la finanza speculativa ne sarebbe molto contenta.
Da tutto questo discorso segue che gli errori di Napolitano diventano sostanziali, ma nascono formali. Non importa che abbiate fiducia nella persona o meno: quello che è importante è che l’istituzione sta progressivamente travalicando i suoi confini con la scusa dell’emergenza e della crisi. E questo fatto, che è sotto gli occhi di tutti, dovrebbe essere denunciato come un grave pericolo. A nulla vale che il Presidente sia animato dalle migliori intenzioni: sicuramente anche Hitler lo era quando ha portato il mondo in guerra e ha cercato di sterminare un popolo intero. Il fatto è che purtroppo si sbagliava.
E’ per questo motivo che le costituzioni anti-fasciste prevedono vincoli e contrappesi: non tanto perché bisogna fare l’Europa unita o perché non venga più in mente a nessuno di prendersela con gli Ebrei, ma in primis per evitare gli errori di singoli uomini convinti di sapere ciò che è necessario fare. E ovviamente, soprassedendo al rispetto delle forme repubblicane senza battere ciglio, questo è esattamente quello che ci aspetta. Insomma, lasciare che un politico di 87 anni imprima la sua direzione all’intero paese nel plauso ossequioso della stampa e nell’ammutolita reverenza di tutta la politica può costarci caro: cosa facciamo poi se la direzione è quella sbagliata?
Andrea Giannini