Un fenomeno crescente negli Stati membri dell’Unione Europea, non nel nostro paese dove la struttura produttiva è costituita prevalentemente da imprese di tipo manufatturiero e la diffusione della banda larga è ancora un miraggio
Se siete tra quelli che ogni giorno rimangono imbottigliati nel traffico per recarvi al lavoro, o se viaggiate su treni che assomigliano a carri bestiame, sappiate che esiste una soluzione ai vostri problemi: il telelavoro. Conosciuto nei paesi anglosassoni come “Telework” o, nella versione americana, come “Telecommute” (ossia telependolarismo), il telelavoro è una modalità di organizzazione del lavoro che permette di svolgere le proprie attività lavorative indipendentemente dal luogo in cui ci si trova. Lo so, vi già state immaginando su una spiaggia caraibica mentre con una mano digitate sulla tastiera e con l’altra stringete un mojito. Diciamo che nella maggior parte dei casi non funziona proprio così, ma per molte persone rappresenterebbe comunque un netto miglioramento della qualità della vita.
I luoghi da cui si può svolgere il telelavoro sono molteplici: da casa, da centri satellite appositamente creati dall’azienda o, in generale, da ovunque sia disponibile una connessione a internet veloce e un telefono. I vantaggi sono anch’essi molteplici e sono sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. I lavoratori, grazie al tempo risparmiato per gli spostamenti, hanno la possibilità di ottenere un miglior equilibrio tra vita privata e lavoro e hanno più tempo per sé stessi e per la propria famiglia. I datori di lavoro hanno la possibilità di utilizzare la forza lavoro in modo più flessibile e, avendo bisogno di minori spazi per i propri dipendenti, ottengono un risparmio sulle spese per l’affitto, la manutenzione e la gestione degli immobili. A beneficiarne è inoltre l’intera collettività in termini di minore traffico e, di conseguenza, di minori emissioni inquinanti.
Il telelavoro è un fenomeno crescente negli Stati membri dell’UE. La percentuale media di dipendenti impegnati nel telelavoro nei 27 Stati membri dell’UE è aumentata dal 5% circa nel 2000 al 7% nel 2005. Repubblica Ceca e in Danimarca detengono il primato di diffusione del telelavoro con circa il 15% dei lavoratori dipendenti coinvolti. Percentuali superiori alla media si osservano inoltre nei paesi scandinavi, in Belgio e in Olanda. La forma di telelavoro più utilizzato è quella a tempo parziale cioè alternandolo a modalità di lavoro tradizionali. Anche in questo caso, così come per altre forme di flessibilità, il nostro paese occupa le ultime posizioni all’interno dell’Unione europea: solo il 2,3% dei lavoratori è coinvolto in attività di telelavoro. Le ragioni di questa diffusione limitata sono molteplici e risiedono nella struttura produttiva del nostro paese, nell’arretratezza tecnologica e in una mentalità retrograda.
La nostra struttura produttiva italiana è costituita prevalentemente da piccole e medie imprese di tipo puramente manifatturiero e, in questo tipo di realtà, è difficile prescindere dalla presenza dei lavoratori sul posto di lavoro. Un altro grande ostacolo è dato dal fatto che l’Italia si posiziona agli ultimi posti in Europa per la diffusione della banda larga, rendendo quindi impossibile il telelavoro in molte aree del paese. Ma il motivo principale è che a molti datori di lavoro non piace il fatto che i propri dipendenti non siano presenti fisicamente perché non è possibile controllarli direttamente. Penso tuttavia che ad ognuno di voi sia capitato di avere colleghi che, sebbene presenti fisicamente, riescano a fare tutto meno che lavorare. Magari sarebbe più sensato valutare i risultati ottenuti dai propri dipendenti piuttosto che accontentarsi solamente della loro presenza in ufficio. Purtroppo questo sembra banale nel resto d’Europa, ma qui da noi per essere compreso richiederà probabilmente ancora molto tempo.
Giorgio Avanzino