Una combine matrimoniale alla “vecchia Genova”: prima “a famìggia e a poxiçión, poi... l'ommo“. Tornano a vivere i "manezzi", il cuore immortale del teatro dialettale genovese
Jurij Ferrini ed Orietta Notari riportano in scena “i manezzi”, cioè quello che forse è il maggiore successo di Gilberto Govi (1885 – 1966), e di certo la commedia più conosciuta e più familiare al pubblico genovese, ma non solo. Più familiare, nonostante la pièce dello scrittore Bacigalupo abbia ormai un secolo, perchè ognuno di noi ritrova, tra gli esilaranti battibecchi coniugali di Giggia e Steva, l’ingenuità dei giovanotti, la leggerezza di Matilde, un po’ dei comportamenti, della mentalità, delle aspirazioni rampanti, più o meno apertamente manifeste, di qualche personaggio del proprio nucleo familiare. â
Giggia ha fretta di maritare l’unica figliola, badando a curarne solo quegli aspetti esteriori che riescano a lusingare e ad attirare i giovani uomini che visitano la loro casa in città ed in campagna. Nonostante sia già spuntato un probabile marito nell’ambito familiare, l’ambizione di madre la spinge a fraintendere le frasi cortesi rivolte alla figlia da un giovane ben sistemato, mentre l’interesse sentimentale di quest’ultimo è rivolto in realtà a sua nipote, Carlotta. Invano Steva, marito trascurato ed inascoltato, tenta di riportarla alla ragione; gli uomini, secondo Gigia, “non capiscono niente” e sottovalutano il sesto senso delle donne.
Spaccato di un mondo “piccoloborghese” di ristretta mentalità che stenta a morire davvero, di comportamenti delle donne di casa che paiono immutati nel tempo (come quello di decidere ogni cosa ma di mandare allo scoperto gli uomini), di combinati matrimoni rassicuranti fra parenti che non disperdano le risorse economiche delle famiglie. Sempre rimarcata, con divertita ammissione, la proverbiale taccagneria ligure.
Ancora presente l’elemento mai abbandonato, neppure nel teatro moderno, della commedia dell’equivoco, scaturito stavolta sul fraintendimento delle parole. I coniugi Govi, nonché i bravi caratteristi che li affiancavano, riuscivano, con l’uso di una mimica esilarante, a far passare quasi inosservata una recitazione dalla tecnica scandita ed impeccabile.
Chi si confronta con interpreti memorabili, e da tutti rimpianti, è sempre dotato di coraggio e passione, che riconosciamo agli attuali interpreti, insieme al merito di aver modernizzato lo svolgimento con l’inserimento di simpatici stacchi danzanti sulle note dei Trilli.
Elisa Prato
“I manezzi pe majâ na figgia”, al Teatro della Corte fino al 5 gennaio 2017