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La questione sociale e l’arte nell’Italia del dopoguerra

Gli avvenimenti culturali contrappuntavano le vicende quotidiane del nostro paese facendo crescere una cultura critica nei confronti del costume, dei modi di vivere e di pensare tradizionali


15 Settembre 2012Rubriche > Musica Nuova

I Vitelloni di Federico FelliniAbbiamo già visto nella scorsa uscita alcuni titoli di libri che nel dopoguerra sino agli anni ’70 furono significativi e contribuirono alla formazione di una coscienza critica nel nostro paese nei confronti dell’ american way of life. Per quanto riguarda il cinema, il Realismo, il Neo-Realismo ed il successivo impegno di altri autori e registi misero allo scoperto la drammaticità dei contrasti sociali squisitamente italiani: le ruberie della classe dirigente, le menzogne della classe politica, l’ipocrita perbenismo della piccola borghesia, la miseria concreta e le drammatiche condizioni di vita delle borgate degli immigrati “interni”. Sullo sfondo il “boom economico”, la “ricostruzione” ed un “progresso” che ben presto mostrò i suoi lati più crudi e veri: inquinamento, sfruttamento, massificazione, consumismo, devastazione del territorio che corrispondeva alla devastazione interiore delle coscienze, inurbamento privo di qualsiasi programmazione, distruzione della cultura contadina.

Citerò – per forza di cose – pochissimi titoli, con l’intendimento di farvi ricordare, di riuscire a tener viva la nostra “anima laica”: la memoria. Ecco dunque: “La grande guerra” (1959), “I vitelloni”(1953), “La dolce vita” (1960), “Il medico della mutua”(1968), e inoltre: “Il generale della Rovere”, “La ciociara”, “Il sasso in bocca”, “Il Gattopardo”, “Il giorno della civetta”, “L’accattone”, “La classe operaia va in paradiso”, “C’eravamo tanto amati”, e giù via fino a “Novecento” e “Un borghese piccolo piccolo” (1977), ormai verso la fine del periodo che stiamo analizzando.

E poi, ancora, il teatro: Pirandello, E. De Filippo, Dario Fò con gli attori della comune a cui va il merito, insieme ad altri ovviamente, di aver diffuso il teatro militante di Bertold Brecth.

Ecco, tutti questi avvenimenti culturali, in un certo senso, contrappuntavano le vicende quotidiane del nostro paese, a loro volta inserite sincronicamente nella scansione quotidiana internazionale. D’altra parte è solo collocando la “quotidianità locale” nella cornice delle relazioni internazionali che possiamo cercare di comprendere qualcosa di ciò che è successo.

Nello scorso articolo ho riportato solo i più importanti fatti drammatici – di carattere naturale e sociale – che suscitarono profonda indignazione. Oggi ricorderò – sempre senza alcuna pretesa di esaustività – alcuni eventi, non solo drammatici, più immediatamente riconducibili all’ambito culturale, politico e sociale. Ne darò una sistemazione il più possibile ordinata cronologicamente, limitandomi a considerare i fatti dal dopoguerra in poi. Innanzitutto, ricorderei la presenza, diffusa su tutto il territorio nazionale, di tutti coloro che da partigiani – ma non solo – avevano combattuto il fascismo, spesso in giovane età. Questo aspetto (importantissimo ancora oggi) giocò un ruolo fondamentale nel far crescere – caduto il fascismo e vinto il referendum per la democrazia – una cultura critica nei confronti del costume, dei modi di vivere e di pensare tradizionali.

Nel 1950 si suicidò Cesare Pavese, scrittore e poeta amatissimo (insieme a Montale) da tutta quella gioventù che già iniziava a dare segni di insofferenza, per ora avvertita soprattutto sul piano esistenziale. Gli anni ’50 furono caratterizzati da una forte migrazione interna, processo che durò almeno fino alla seconda metà degli anni ’60. Erano gli anni in cui, nelle città industriali del nord, comparivano i cartelli “non si affitta ai meridionali” (o, direttamente, “terroni”).

Se da un lato la “questione sociale” toccò livelli di tensione altissimi, dall’altro mise a confronto (anche se forzatamente) mondi, persone, culture diverse. Nelle fabbriche e nell’ormai prossimo “movimento studentesco”, si svilupperà una solidarietà, non solo formale, partendo dalla constatazione che “tutti” si viveva nella stessa realtà di sfruttamento e ingiustizie sociali. Nel 1957, segno che i giovani (figli di una scolarizzazione più diffusa) iniziavano ad essere diversi dai fratelli maggiori, si tenne a Milano il primo “festival del rock ‘n’roll italiano”. I modelli della musica americana – che fecero esplodere il fenomeno degli urlatori – con la loro trasgressività iniziarono a diffondersi anche da questa parte dell’oceano. Il juke –box, il giradischi, il 45 giri e il successivo “mangiadischi” portatile risulteranno mezzi nuovi e formidabili per la diffusione di un nuovo costume e delle implicazioni sociali ad esso legate.

Gianni Martini


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